R.P.O.


Requiem per Opitergium




Dedicato a Maddalena


Requiem è una classica fiaba mitica, una storia d'amore e di viaggio, alla ricerca di un'incomparabile Meraviglia.

Da “Il Sogno e il Mondo Infero” di Fanny & Alexander




NOTE


Letteralmente “Requiem” starebbe a significare una messa secondo il rito liturgico della Chiesa Cattolica eseguita e celebrata in memoria del defunto, o anche una composizione musicale che utilizza gli inni propri dei riti cattolici con una trama musicale
Ma io preferisco intenderlo così
Un viaggio simbolico
Un viaggio in cui il protagonista, con il passare del tempo,scandito dalle stagioni che si susseguono,cambia e si evolve
E come si evolve lui, così il mondo che lo circonda
Per la divisione dei capitoli in stagioni ho preso spunto dal film “Requiem for a Dream” dove il regista, Darren Aronofsky, fa iniziare il film con l’estate e lo fà terminare con l’inverno descrivendo così l’ascesa(estate), il declino (autunno), e la caduta (inverno) dei protagonisti, non menzionando volutamente la primavera, con il tradizionale significato di rinascita che porta con sé, per lasciare i personaggi senza speranza (come del resto anche il titolo lascia presagire).
Neanche io l’ho messa la mia primavera
Non tanto perché non mi dia una speranza
Quanto per il fatto che non so proprio come sarà la mia primavera







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INVERNO




Siamo alla fine
E’ il momento di salutare tutti
Chi con più 
Chi con meno affetto
Ad alcuni do’ il cinque
Ad altri,cinque e abbraccio
Ad altri solo pacca sul fianco
Ciao ragazzi
In bocca al lupo
Ciao Chef
Grazie di cuore
M’avete lasciato tutti qualcosa..
Tutti dico
M’avete formato
Magari non lo sapete
Ma da ognuno di voi ho preso qualcosa
Da alcuni di voi come bisogna comportarsi
Da altri come invece non bisogna mai arrivare ad essere
Ed è questi ultimi che ringrazio maggiormente
M’avete fatto migliore di quel che ero anche solo un secondo fa’
Migliore per me stesso,e me stesso solo
Di conseguenza poi,per chi avrò intorno nei miei viaggi e nelle mie esperienze
Come tutte le esperienze anche questa è stata degna d’esser vissuta
Sospiro
Gli zaini son pronti
Guardo la stanza che fino a poche ore fa’ era il mio rifugio dall’esterno
E’ ormai spoglia
Solo quella bottiglia di birra nell’angolo in fondo,vicino le scale che danno sul tetto del torrione,un domani dimostrerà il mio effettivo passaggio in questo edificio
In questa stanza
Si,la lascio lì
Nn mi importa pensare che la prossima persona che entrerà nella “mia”stanza possa arrivare a dire
“Qua c’e’ stato un alcolizzato”
Oppure..
“Si son divertiti qua” sorridendo maliziosamente
Magari si
Ci siamo divertiti
Ma non come pensi te,mio caro prossimo inquilino
Sorrido io adesso al pensiero 
Non e’ per quel motivo che son venuto fin quassù
Non per quello
E quella non e’ una bottiglia
Sembra
Ma non lo e’
C’e’ un mondo dietro quel vetro lavorato(neanche troppo finemente)
C’e’ un vissuto..anzi..più vissuti..
I vissuti di persone
Persone del presente
Ma anche del passato
Si mi riferisco anche a quelle che abbandonate,torturate e ed uccise secoli e millenni fa’ in questo stabile(per secoli l’edificio su cui si erge la torre in cui c’e’ la mia stanza ha funto da edificio carcerario),su cui mi è capitato d’aver fantasticato ogni tanto sorseggiando quella birra
O se non quella,una dannatamente uguale
Fa’ un certo effetto star seduti qui
Ebbene si caro amico
Dovresti provare prima di giudicare.
Poi mi saprai ridire
I vissuti dicevo
I vissuti di persone che sono passate quassù
E che,anche se per un secondo,si sono soffermate a pensare o a parlare con me
Quella bottiglia lì,ormai privata della sua sostanza,ha simbolicamente in sé tutti questi vissuti
I vissuti delle situazioni e delle persone su cui,io e i miei “compagni di chiacchiera”(residenti o di passaggio)abbiamo argomentato o discusso
Quella bottiglia è pregna di sogni e speranze
Proiezioni future tutte diverse l’una dall’altra
Che solo se portate a compimento potranno dimostrarsi utili alla causa della felicità interiore
Lì dentro signori ci sono dei percorsi finiti da epoche ormai lontane
E percorsi che tra poco avranno inizio
Percorsi magari inaspettati o da sempre desiderati
ma sempre e comunque degni d’essere vissuti fino all’ultimo
Ecco dentro quella bottiglia c’e’ questo e anche di più
Ma magari tutto questo non importa..
Magari verrà gettata,all’indomani della sua scoperta nel il primo cassonetto..
Forse si
Ma spero una cosa
Spero solo vada in quello del differenziato..
Non tanto per l’ambiente
Né tantomeno per il comune di Oderzo con sempre una multa pronta in caso di infrazione al riguardo
Quanto perché quella bottiglia intrisa di vissuti possa stare assieme ad altre storie e vissuti
Vissuti come lei
Di altre persone
Che anche per un solo istante si son sentite sole
Anche uno solo
E che per questo si sono analizzate e raccontate
Prima a se stessi
Poi agli altri
Bene
Ritorno in me
Le assi scricchiolano per l’ultima volta sotto il mio peso
E’ ora che vada
Lancio un ultimo sguardo per vedere se ho dimenticato qualcosa 
Un’ultima occhiata di intesa al pavimento,sbiadito dalle piogge di anni ormai trascorsi,che mi ha fatto da giaciglio per molte notti
Sia chiaro
Con materasso annesso,seppure a contatto col suolo
Sorrido a mezza bocca,malinconicamente
Chiudo le persiane lasciando le finestre aperte
Voglio che il freddo entri dentro
Tanto dopo l’inverno c’e’ sempre la primavera..
Così si dice no?
Io ci spero
Intanto mi preparo per l’ultimo atto
Atto in cui ho voglia di lasciare qualcosa
Qualcosa di me
Non una dimostrazione bensì un ricordo
Non tensione ma serenità
Poi via,verso i ciliegi in fiore
Forse sarò il primo a vederli
Forse no
Ma li vedrò
E non importa che il freddo lì fuori lasci poco alla speranza
Li vedrò,e questo mi basta per sorridere


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ESTATE IN FLASHBACK




21 Luglio
Temperatura esterna 42 gradi
Stato di forma..pessimo..
Aria condizionata rotta e il clima tropicale di questi giorni in tutt’Italia non giocano a mio favore
Con la mia Citroen C3 malconcia,dopo quattro ore e mezza di viaggio,partito da Roma(precisamente da Frascati)per il Veneto,vedo finalmente il cartello che mi indica la prossimità del mio obiettivo
Oderzo(Opitergium scritto in piccolo sotto)
Bene
Ci sono
Distrutto ma ci sono
Dai che magari se mi vedono tutto sudato e con la barba incolta mi dicono di attaccare a lavorare domani
Comunque son puntuale..
Appena varcato il confine immaginario(neanche troppo immaginario visto il cartello)che separa il mondo esterno,fatto di asfalto rovente e smog,appena lasciato alle spalle,da quello in cui mi andrò ad immergere totalmente per i cinque mesi a seguire,noto come tutte le presupposizioni,più o meno negative,nate nella mia testadurante il tragitto(forse il caldo,forse il fatto di non aver neanche mai visto una volta su internet nulla,riguardo il mio stage e il luogo designatomi)vengono man mano confutate dalla visione di un paesaggio gradevole (quando invece me lo aspettavo squallido e grigio),fatto di vigneti,piantagioni di Kiwi e di Soia,a destra e a sinistra del ciglio della strada,e dalla sensazione di una calma che non sembra affatto assomigliare a quella che solitamente precede la tempesta..una calma ispiratrice
Ritorno in me
Ora troviamo ‘sto posto
Mentre procedo a passo d’uomo noto ai lati della strada principale solo strisce blu(e non sono ancora arrivato in centro)
Dannazione..lo sospettavo e lo temevo
Speriamo solo di non prendere multe come al solito
Dove sarà questo ristorante
Provo a chiedere a quella signora dal fare gentile
Mentre accosto al marciapiede le faccio
“Mi scusi,saprebbe dirmi dove posso trovare il ristorante Ge..”
Non finisco neanche la frase che lei si protegge la borsa come da un tentato scippo ed accelera non voltandosi
Bene
Cominciamo bene Gabri
Forse quella lì
“Mi scusi..saprebbe indicarmi come posso arrivare al Gellius?Sa’ oggi e’ il mio primo giorno di stage e..”
“Guardi non son di qui e poi son di fretta..”
Ok Gabri,stai calmo
Qualcuno lo saprà per forza
Dopo diversi tentativi riesco a parcheggiare e ad ottenere le informazioni al riguardo
Grazie signore in canottiera e costume,probabilmente marocchino o tunisino..
Grazie per esserti distinto
Ok ci sono Finalmente
Passo sotto un piccolo arco probabilmente di origine medioevale(ma sicuramente restaurato di recente)e mi si para davanti agli occhi una bella piazza con a destra..
Si!!
Proprio lui
Il Gellius
Il ristorante assegnatomi per lo stage
Carino
C’e’ gente che beve all’aperto ed usufruisce di ricchi tramezzini e quelli che sembrano essere cocktail analcolici
Sembra un bar..
Bene
Nn importa
Anche dovessero essere solo panini..
Saranno sicuramente fatti con passione
Guardo più in là e vedo come la struttura si estenda in profondità(dove intuisco esservi la struttura ristorante)e si sviluppi anche in altezza
Diamine quanto é alta..
Alzando lo sguardo noto che sulla struttura ospitante il ristorante,su di me e su tutti i clienti seduti all’esterno, anche se un po’ decentrata,si erge una torre dall’aspetto imponente,quasi minaccioso se immaginata sotto un celo plumbeo
Voglio dormire lassù,continuo a dirmi nella testa
Ritorno in me
Quasi ora dell’inizio del servizio
Una cameriera che ha appena finito di servire uno dei tavoli mi guarda di sfuggita
Mi ci avvicino con la discrezione di chi ha tre borsoni al collo la maglia zuppa di sudore e una cera non invidiabile
“Salve sono il ragazzo dell’Alma..”
“Si,seguimi”
Mmm..di poche parole ma cortese
La zona Bar,e le successive,prima di arrivare all’ambiente cucina,mi colpiscono per bellezza e stile..
Sono armonicamente parte della struttura ospitante,senza né risultare invadenti e né storpiarne l’aspetto originario..difficile se si pensa che i materiali e gli stili utilizzati sono separati da secoli di storia..
Un momento..
L’idea di un ristorante,con zona bar adiacente alla sala del ristorante vera e propria non so’ dove l’architetto l’abbia presa,ma assomiglia tantissimo all’impostazione stilistica e strutturale ancora oggi presente in molte osterie venete che hanno,da una parte il reparto “borghese”,con sala da pranzo e tutti i comfort di una trattoria,e dall’altro solo i meri tavoli senza neanche la tovaglia
Certo,qui non si parla di questo ma l’idea secondo me e’ la stessa
Proverò a documentarmi
Dicevo..
La ragazza mi lascia di fronte la porta della cucina e va’ via
“Salve ragazzi”
Un ragazzo alto quasi come me ma più magro mi guarda e a mezza bocca risponde al saluto
Un altro,minuto e un po’ scarno mi fa’ un cenno,continuando a rimestare nella pentola quasi troppo grande per lui
Una ragazza di origini Orientali,probabilmente coreane,mi saluta con un cenno della testa ed un sorriso..
Anche se di poche parole,sembra la più gentile
Poi si para davanti a me la figura di un uomo sulla quarantina,capello brizzolato,giacca pulitissima e stirata che mi tende la mano
“Salve,sono Alessandro”,mi fa’…
“Lo Chef?”
“Si ma chiamami Alessandro”
“Nn mi uscirà naturale ma ci proverò..grazie”
“Bene se non sei troppo stanco e ti va’ puoi iniziare da stasera,dopo aver posato i bagagli nel tuo alloggio..”
Vorrei poter dire quel che penso(ovvero che sono massacrato dal viaggio) ma repentinamente rispondo
“Certamente,cinque minuti,tempo di una doccia e sono a disposizione”
“Bene..Tortellino,mostragli la stanza”
Tortellino?
Mi vien da ridere,ma riesco a trattenermi
Però più lo guardo e più mi viene da pensare che non potrebbe soprannominarsi altrimenti che Tortellino
Mentre salgo sulla torre,guidato da Tortellino(è il soprannome del ragazzo addetto alla pasticceria),prego perché mi venga assegnato l’ultimo piano
Nn so’ neanche il perché di questo desiderio ma so che sarebbe affascinante
Dopo diversi gradini,Tortellino,boccheggiante,si ferma su di un pianerottolo indicandomi un ultima rampa di scale dove oltre la quale deduco esserci la mia stanza
“Se non ti piace ho un letto nella mia stanza e..”
“No no,va’ benissimo”
“Ok io torno giù”
“Grazie,mi cambio e arrivo”
Mentre salgo nella “mia” nuova mansarda,sento un fracasso per le scale
Speriamo non si sia fatto male.
Bene..si comincia
Come prima cosa butto via le reti dei letti e sistemo i materassi sul pavimento
Tiro fuori la divisa(stranamente stirata)
Mi butto velocemente sotto la doccia lavandomi il più in fretta possibile
Mentre mi asciugo con la coda dell’occhio vedo uno specchio richiamare la mia attenzione
La barba
Vero,la barba
Dai magari domani
Mi vesto e di corsa al pianterreno
Varcata la soglia che separa la sala dalla cucina,entro ufficialmente nel microcosmo del “Gellius” della sua cucina e dei suoi componenti(animati e non)
Ah la barba
Non me la sono mai più fatta


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RIFLESSIONI



Torniamo a noi
Quando ho iniziato a documentarmi sulla torre,il complesso edificio che la accoglie,la sua cinta muraria,e la piazza circostante,pensavo che di interessante al riguardo ci fosse ben poco,eccetto che oggi oltre ad essere un vero e proprio museo,lo stabile è anche sede del ristorante in cui sono in stage
Ma man mano che i dati acquisiti han cominciato a disegnare un quadro ben più complesso di quel che mi aspettassi,ho iniziato a guardare il tutto con occhi diversi
O meglio..a sensibilizzarmi
Passeggiando intorno all’edificio,di notte
O semplicemente camminando all’interno del ristorante in solitudine prima del servizio
Senza alcun faro puntato su capitelli o bassorilievi(c’e’ davvero tutto questo tra queste “quattro mura”)
Ho cominciato a capire come fosse diverso dall’essere solo un edificio
Camminare al suo interno quando tutto è spento è come camminare su un gigante addormentato
Scatta automatica la ricerca di fare il minor rumore possibile
Io la vedo come una forma di rispetto per tutto quello che c’è dietro ogni singolo mattone o pietra del complesso architettonico
Sono arrivato quindi al punto in cui mi sono posto degli interrogativi
Non più sui documenti analizzati
O sulla storia di quelle mura
Bensì su tutto quel che oggi passa intorno alla torre,fatta di secoli e storie,messe l’una sopra l’altra
La mia ricerca quindi si è spinta fino al presente
Presente che ho visto da subito in netto contrasto con il passato
Vivendo la gente e la cittadina,nelle poche ore di tempo libero a disposizione,ho cominciato a vedere come,in qualche modo,tutto quello che mi circondava fosse poco figlio di quel passato
La gente di Oderzo,la quasi totalità della popolazione(presunzione figlia di un’indagine accurata)è come vivesse in una bolla di indifferenza totale verso il prossimo e tutto ciò che implica un qualcosa di profondo
Sia esso un sentimento(uno qualsiasi)
Sia esso un interesse
Predomina una superficialità imbarazzante di argomenti e sentimenti
Mi son domandato più volte se la gente sapesse solo lontanamente quanto l’atteggiamento comune presente,sia in netto contrasto con la storia circostante
E sono arrivato alla conclusione che qui la gente no sa
E non vuole sapere
Se solo sapesse “il passato” su cui cammina ogni giorno
Su cui incrocia il proprio prossimo senza neanche salutarlo
Anzi ,quasi schifandolo
Magari solo perché del Sud(ho ascoltato espressioni,che per quanto aberranti,erano divertenti tanto erano figlie dell’ignoranza crassa)
O di un’altra nazione
Non pretendo che la gente sappia tutto riguardo la storia della propria città e dei monumenti in essa presenti
Ma neanche che sappia solamente che la piazza cittadina sia servita in passato ad ospitare il “Maurizio Costanzo Show” e che il “Gellius” sia un ristorante di un certo livello e bisogna “incamiciarsi”per entrarci
Se solo sapesse
Se solo sapesse che,nella piazza dove giornalmente si va’a prendere lo “Spritzetto”,parlando di cose frivole(gli argomenti trattati non vanno di solito,come spessore culturale,oltre il Grande Fratello),secoli fa’ proprio su quella piazza venivano trucidate persone
Se solo sapesse che in quella piazza sono state vinte delle piccole battaglie
Su quella piazza ci si e’ protetti vicendevolmente,anche tra sconosciuti,come si fosse fratelli di sangue pur di non perire per crimini mai commessi
Su quella piazza si dialogava nel giorno del mercato e ci si scambiava consigli,informazioni,cultura
Si dialogava!
Parlando con lo Chef,riguardo il mercato del bestiame di Oderzo(mercato,secondo solo a quello di Padova a quanto si dice) ),che prima aveva sede proprio in piazza Vittorio Emanuele(la piazza cittadina appunto) ed ora in una zona poco distante a questa,sono venuto a sapere dell’esistenza del “mediatore” del mercato del bestiame(figura un tempo di fondamentale importanza,oggi piu’ che altro folkloristica).
Il mediatore era colui il quale mandava avanti,un tempo,l’economia del mercato del bestiame di piazza,e questo grazie alle sue grandissime conoscenze riguardanti il mondo animale e quello dell’arte oratoria
Era colui il quale avvicinava i venditori agli acquirenti provenienti da tutte le parti d’Italia
Prendeva un compenso economico sia dall’uno che dall’altro,promettendo,al compratore la bestia migliore in circolazione,e al venditore un acquirente che riuscisse a pagare il prezzo prestabilito per la bestia in vendita.
Un uomo,che anche se per denaro,metteva in contatto persone,e quindi culture e tradizioni diverse
Il tutto l’ho scoperto parlando
Chiedendo,parlando 
Cercando di trovare un punto di contatto con una persona
Essa più grande,più piccola,di un altro ceto sociale o di una cultura diversa dalla mia poco importa..
Questo per dire cosa?
Per dire che credo fermamente nella tradizione orale..credo sia fondamentale
Ma senza l’apertura mentale,la predisposizione al dialogo,la curiosità,la voglia di mettersi in gioco,di ricercare chi eravamo,di progettare e sognare chi mai saremo un domani..
Rimarremo sempre fermi
Inchiodati ad un presente statico
Nn saremo mai coscienti delle nostre potenzialità..
Il continuare ad ignorarsi,ad evitarsi.. ci farà rimanere per sempre nell’apatia e nell’ignoranza che pian piano arriverà dall’anestetizzarci,all’ucciderci la mente
Se solo la maggior parte della gente,che mi sta’ passando accanto,adesso,in questo momento,proprio in questa piazza..sapesse questo..
E cominciasse a documentarsi sulle proprie origini
Magari andando in Biblioteca o connettendosi ad Internet
Ma anche facendo come me
Interrogando una persona
Che so,un parente,un conoscente anche solo di poco più grande
Allora forse capirebbe che ci sarebbe tutto un altro gusto nel vivere
Nel vivere il prossimo
Nel vivere la propria città
La propria regione e la sua cucina
I suoi prodotti e l’uso che se ne e’ fatto nel tempo
Basti pensare come il proprietario del complesso architettonico dove il Gellius ha dimora,e con lui i figli,pur essendo giorno e notte a mangiare al ristorante,non siano passati mai in cucina neanche per un saluto
Neanche un semplice grazie
Grazie forse e’ troppo
Neanche un cenno da lontano prima di uscire,magari accompagnato da un sorriso
Basterebbe un sorriso
Niente 
Solo indifferenza..
Se solo sapessero 
Se solo sapessero godrebbero di più anche loro
E sapete cosa?
Non vedo l’ora di ritornare nella mia regione
Nel Lazio
A Roma
Anzi ancora più nel dettaglio
A Frascati
E questo perché una volta lì,comincerò a godermi con tutta un’altra intensità le strade e stradine,i chioschi,le osterie,i luoghi sacri e non,le campagne del mio territorio
Comincerò a nutrirmi di tutte le storie e tradizioni che mi son sfuggite negli anni e a cui non ho prestato attenzione,un po’ per superficialità adolescenziale,periodo in cui pensavo di sapere già tutto sul mio territorio,e senza conoscerlo veramente,guardavo e sognavo paesi lontani,un po’ per tutti gli anni a seguire,passati in giro per il mondo che non mi hanno permesso di godermi a pieno il tutto
Non si può prescindere dalle proprie radici
Le proprie origini
Per conoscere ed apprezzare il mondo bisogna prima conoscere chi veramente siamo
Bob(Marley per capirci)diceva questo ed aveva ragione
Nn puoi conoscere e rispettare il mondo,se prima non conosci te stesso e le tue origini
Non e’ possibile che,chi,per raccontare il proprio stage a Roma,magari proveniente dal nord o dall’estremo sud,ora,perché stimolato dal progetto di cui io stesso faccio parte,sappia cose più interessanti(riguardo la storia e la cucina di quella città)del sottoscritto che ci e’ nato e c’ha passato infanzia ed adolescenza
Nn lo posso permettere
E tutto questo non dovrebbero permetterlo neanche le persone di Oderzo 
Ma lo permettono
Quindi Opitergini..questa è per voi


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 RENA


Il suo vero nome non l’ho mai saputo e forse non lo saprò mai..ma quello occidentalizzato e’ Rena(anche in Nuova Zelanda avevo in cucina una ragazza coreana che si chiamava,per noi occidentali,Alex,che mi aveva spiegato che questa cosa,dell’occidentalizzare i nomi,viene fatta per venirci incontro,visti gli abissi di fonetica che ci separano,quindi neanche in questo caso mi son fatto troppe domande ed ho preso come suo nome,quello).Nella sua vita ha fatto di tutto,anche la sceneggiatrice e coreografa di successo,sia a livello teatrale che televisivo..Poi un bel giorno si e’ svegliata ed ha deciso di rimettersi in gioco alla bellezza di quarant’anni e di voler provare nuove emozioni.
Il lavoro lo aveva..I soldi e la fama anche..Forse però non era felice..
Non lo so’..non e’ una persona di molte parole
Però per mettersi in gioco così qualcosa non doveva piacerle più
Ogni mattina si sveglia prima di noi e fa il pane
Poi tutto quello che le viene assegnato di conseguenza
Mai una protesta
Mai un fiato,neanche quando qualcuno,approfittandosi della sua educazione e del suo essere servizievole,fa la voce grossa senza nessun motivo apparente
Comincio a provare un infinito rispetto nei suoi confronti
Sarà alta al massimo un metro e mezzo ma la sua forza di carattere e’ di dieci volte maggiore di tutti coloro i quali tentano di farla sentire inferiore o inadeguata
Come sono entrato in contatto con lei?
All’inizio visivamente senza neanche dialogo
Nel momento della colazione e del pranzo del personale
Ogni giorno la guardo
La studio
Con discrezione..
E capisco da lei,dai suoi silenzi,dalla delicatezza di come si muove e tocca ogni cosa,molte più cose del suo mondo e della sua cultura che non di quella di molti dei miei commensali che in pausa pranzo parlano quasi meccanicamente di calcio e motori(e mi sembra a volte solo per coprire l’imbarazzante silenzio interrotto ogni tanto dal tintinnio delle posate a contatto con la porcellana)
Col tempo entro in confidenza
Le comincio a fare domande
In italiano non va’ forte
Cosi parliamo in inglese
Mi racconta molto di lei e della sua Corea
Delle usanze di lì e dei suoi gusti
Di come non sempre i suoi gusti corrispondano con i “nostri”
È bello vederla provare,assaggiare..magari fare una smorfia figlia della novità
Per poi però annuire solennemente
E poi
Come mastica
Sconvolgente come mastichi lentamente!
Mi viene in mente un passo di un libro di Chuck Palahniuk “Rabbia”in cui il protagonista racconta della sua famiglia sgangherata e di come la mamma,esasperata dal fatto che i figli si seggano ogni volta a pranzo ed ingurgitino,quasi senza respirare il cibo,solo perché non vedono l’ora di tornare a fare il più velocemente possibile quel che stavano facendo un attimo prima(dopo che lei ha speso del tempo e ci abbia messo tanta passione nel preparare pietanze sempre diverse),cominci ad inserire pezzi di guscio di noce ed oggetti puntuti ma non taglienti, all’interno del cibo affinché comincino ad assaporare e gustare le pietanze in maniera effettiva e non effimera..
Ecco..ogni volta che mastica sembra come se qualcuno abbia messo degli oggetti puntuti nel suo boccone e per schivarli,sondi ogni centimetro della sua bocca con la lingua,prima di deglutire
Mi parla di come il cibo nella cultura coreana non sia combinato a caso
Di come ogni prodotto alimentare venga abbinato ad un altro per un ben preciso motivo
Un esempio su tutti e’ l’utilizzo quasi sistematico della rapa bianca come contorno di piatti di carne perché ritengono che faccia smaltire più in fretta le tossine che questa apporta al nostro corpo e ne faciliti la sua digestione.
I giorni passano e vengo messo al corrente da Alessandro,lo Chef,che oltre alle mie mansioni,che dal primo mese e mezzo  consistono nell’assistere un ragazzo,poco più grande di me,ma con più esperienza alle spalle,alla partita dei secondi,a breve dovrò iniziare a svegliarmi prima degli altri,per fare quello che quotidianamente sta’ facendo Rena(data la sua partenza imminente),ossia..
Il pane
Sorrido
Non l’ho mai fatto il pane
Bello
Dal giorno seguente,per le due settimane successive,seguito da Rena,e poi pian piano da solo con le mie forze ,comincio a svegliarmi un’ora prima del solito e con lei mi dedico alla cura e alla produzione del pane
Per i primi giorni la osservo
La seguo
Rido scusate
Rido perché e’ buffa la mia persona di quasi un metro e novanta che segue,anche nelle sue umane incertezze,una donnina,di poco più di un metro,per la cucina di sicuro non progettata per la mia altezza(garantisco,i molti lividi in testa parlano da soli)
Dicevo
Le passo gli ingredienti
Non una domanda
Osservo innanzitutto i suoi gesti automatici,per farli miei
O per magari tentare di modificarli in meglio ove possibile il giorno in cui toccherà a me avere a che fare con lievito madre,farina,planetaria e tante altre cose attinenti la panificazione
Questa donna ha automatismi perfetti
Dopo qualche giorno la comincio ad aiutare manualmente nella fase produttiva
Facciamo “pagnottine” di diversa forma
Ad ogni tipo di impasto corrisponde una forma ben precisa
Un paio di occhiate di quelle che non han bisogno di commenti,ed e’ quanto basta,per farmi passare la voglia di non ricercare la perfezione riguardo la forma e la taglia del pane
Ha ragione
Con educazione mi corregge ed io la ascolto
A volte non riesce a rispondere alle mie domande per mancanza di esperienza
Ma i suoi sforzi vani di accontentare la mia voglia di sapere(pur non saziandola mai totalmente)che si concludono sempre con uno strano sbuffo fatto con la bocca a dire“più di questo al momento non so’” sono molto più che una risposta
Apprezzo i suoi sforzi
La rispetto
Per come si prodiga
Per come mi ascolta
Per come accoglie le mie proposte
Posso dire d’aver imparato a fare il mio primo pane grazie ad una donna (preferisco pensarla ragazza per la giovinezza celebrale che possiede)coreana
Certo,con Alessandro alle spalle come guida
Ma le prime “mani in pasta”le ho messe con lei ogni mattina
Ti ricorderò sempre Rena
Te,la tua discrezione,professionalità,altruismo,e umiltà
Grazie per essermi stata maestra





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MEMO DETTO MIMMO




Per una settimana il “Gellius” ha ospitato Memo (ma per il suo accento “napo-romano“dovuto al costante contatto con persone appunto di Roma e Napoli diceva di chiamarsi “Mimmo”),cuoco egiziano,ormai trapiantato negli emirati arabi da anni,venuto in Italia per conto di uno chef tedesco al fine di approfondire le sue conoscenze in materia di cucina italiana e regionale
Non so per lui,ma per me è stata un’esperienza unica
Quest’uomo vicino alla sessantina,ma con la curiosità di un bambino,e la presenza di una persona molto più giovane della sua età,per tutta la sua permanenza,non ha fatto altro che dispensare sorrisi,raccontare aneddoti riguardo la sua vita il suo lavoro,la cucina egiziana,saudita,e sempre dimostrare con piccoli gesti il suo amore per la cucina in generale
Di sicuro i suoi discorsi e le nozioni datemi in materia non erano direttamente riconducibili alla cucina italiana,ed in particolare,quella veneta..
Non lo erano direttamente,ma sicuramente la cucina raccontata da Memo ha più di qualche punto in comune con quella veneta(veneziana in particolare)
Le due culture culinarie sono legate tra loro da un filo,anche se sottilissimo,fatto di contaminazioni più o meno rilevanti che però non possono non riportare alla mente la storia della Repubblica di Venezia,e del suo costante volgere lo sguardo ed i suoi interesse all’Oriente
Mi ha raccontato di come il caffè lì sia più “complesso”perché aromatizzato al cardamomo o allo zafferano o entrambi e di come sia macinato meno finemente
Delle dure leggi restrittive vigenti in Arabia Saudita
Della pena di morte
Della bellezza e della finezza delle donne di lì
Del suo passato di facchino,di pizzaiolo
Dell’Islam
Della conoscenza e dell’uso sapiente delle spezie e delle erbe aromatiche nella cucina mediorientale
Ed anche quando non parlava,con il suo sorriso e la passione per il suo lavoro che gli si riusciva a leggere negli occhi,portava una ventata di freschezza e di buonumore in cucina tali,da far risultare l’operato di una lunga giornata lavorativa,di miglior fattura e meno stancante.
Alla sua partenza non ha fatto altro che ringraziare chiunque gli capitasse a tiro
Ma non ha capito che chi invece doveva ringraziare veramente tra le due parti eravamo noi




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 VENEZIA ED IL PARADISO PERDUTO




                          
Da dove iniziare
Io inizierei dal mio obbligo
L’obbligo di scrivere per qualcuno di cinque mesi della mia vita
Qualcuno che non mi conosce
Assurdo no?
L’obbligo
Ma la cosa assurda e’ che l’obbligo che ho di scrivere le mie sensazioni,emozioni,e impressioni riguardo la regione che mi ospita,man mano che scrivo,e che mi prodigo per essere il più esaustivo possibile,si sta’ tramutando in piacere
Giuro
Piacere di scrivere per me stesso
La ricerca della sintesi dei miei pensieri(cosa ardua assicuro,dato che,anche per dire una cosa brevissima,parto sempre da Adamo ed Eva)a tarda notte dopo il lavoro
La ricerca del rendere il più figurativo possibile il mio racconto,la mia esperienza,così da poter far vivere a chi mi sta’ leggendo in questo istante le stesse cose provate nelle mie avventure
La regione che devo vivere e su cui devo approfondire le conoscenze è il Veneto,ma le circostanze(carenza di contatti in primis e voglia di fuggire da Oderzo secondo poi)mi han portato inizialmente in due delle regioni confinanti questo
Prima son capitato in Emilia Romagna dove a Comacchio ho assaggiato la “famosa” anguilla locale(me la sono potuta permettere solo marinata schiaffata in un panino,vista l’esosa cifra a cui la si vendeva)e mi sono fatto due passi lungo la cittadina che,per i canali che la attraversano,ricorda Venezia ma in miniatura

Poi in Friuli Venezia Giulia,più precisamente a Trieste dove ,dopo una breve passeggiata all’interno del castello di Miramar e successivamente nel centro cittadino,ho fatto tappa nel luogo dicesi essere il più rappresentativo della gastronomia triestina,ossia la trattoria “Da Pepi(Sciavo)”dove ho mangiato dell’ottimo bollito misto di maiale(anche codino orecchie muso per intenderci),condito semplicemente da una grattata di rafano
Colpito da queste due “gite fori porta”,come si direbbe dalle mie parti,mi son fatto coraggio ed ho cominciato a sondare meglio la regione che mi ospita cominciando così,giorno dopo giorno,ad interrogare chi mi stava a contatto quotidianamente e chi pensavo potesse darmi un aiuto riguardo un’analisi approfondita del territorio
E qui in barba alla consecutio temporum si ritorna al presente
Perché in questo momento entro in possesso di numeri ed indirizzi di personaggi interessanti che possono farmi conoscere in maniera concreta,anche tangibile la cucina,gli usi e le abitudini del Veneto
Sinceramente ho provato a documentarmi su internet ed anche in biblioteca..ma non si sono rivelate,le due fonti,appaganti in ogni occasione
Scelgo quindi di portare avanti il mio “modus operandi” che e’ quello di viaggiare durante il giorno libero e di chiedere,telefonare,ed organizzarmi invece,durante le pause dei giorni lavorativi
Tutti questi sforzi non risultano mai vani..neanche quando non ottengo quello desidero..
E questo perché,anche se la persona che ascolto,non risponde come vorrei ai miei quesiti o non riesco a portarla con i discorsi dove desidero,riesce a ripagarmi degli sforzi fatti per ricercarla,sempre con qualche altra cosa..
Magari con una storia
Un gesto degno d’esser ricordato
Un consiglio
Non importa con cosa
Ma di sicuro mi ripaga,e sicuramente qualsiasi cosa mi darà,andrà a finire nel mio vissuto
Sarà parte di me per sempre
Internet e la fredda tecnologia no
Dicevo
Il vivere la regione e le sue tradizioni non può prescindere dal vivere i luoghi di cui si parla e soprattutto le persone che vi si incontrano
Venezia
Splendida città,conosciuta a livello mondiale per la sua particolarità di essere su e nell’acqua
Visitata diverse volte
Ma vissuta come nell’esperienza che mi sto’ accingendo a raccontarvi non m’era mai capitato
Mi ha toccato
Emozionato come prima mai
Vista con l’occhio del turista a caccia di poche cose da poter poi raccontare,e’ una cosa
Vista con gli occhi di chi deve(e vuole)cercare particolari,profumi,fotogrammi da poter imprimere per sempre nella mente(e poi se necessario per iscritto),e’ tutt’altro
Poi se si incontrano delle persone che sembrano uscite da un racconto di Chuck Palahniuk…beh non ci sono parole
Una domenica
 Finito di lavorare di punto in bianco decido di vedere cosa significa vivere un “bacaro”(tipica osteria veneziana) e la magia dei cicchetti accompagnati da un’ombra di buon Prosecco
Ho sentito sempre parlare con entusiasmo di questi posti ma non ho mai avuto il piacere di capitarci dentro
Deciso
Ci vado
Salgo in macchina e parto
Arrivo a Venezia nel pomeriggio
Percorro le strade “classiche”che mi ricordo,giusto per orientarmi
Per sentirmi protetto
Arrivo a Rialto,e lì non la memoria bensì l’olfatto,mi guida verso il mercato sottostante
Sento della musica..
Ne seguo le note
Melodie gitane
Davanti a me vedo dei Tendoni
Sembra una festa dell’Unita’
E’ la festa dell’Unita’
Decine di griglie
I fuochi che pompano
Gente che,più o meno composta,beve vino e mangia un po’ di tutto ciò che concerne il cibo di strada
Ma la cosa che mi colpisce e’ una griglia lunghissima dove si stanno,appunto grigliando, Poenta e Sépe(polenta con seppie)
Polenta(bianca,tipica della regione) e seppioline “arroste” mi dicono
Le provo
Squisite..
Mi fermo vicino ad una griglia
La controlla un signore che sembra essere il più anziano di tutti gli altri fuochisti
Diffidente inizialmente(soprattutto perché non capisce bene le richieste,dato il mio accento,vagamente romano),dopo due calici di prosecco diventa,a suo dire,il mio migliore amico
Colgo l’occasione per chiedere di un “bacaro” storico
Voglio un’esperienza veneziana
Senza togliere gli occhi dalle sue Sépe mi da’ indicazioni così dettagliate che neanche un navigatore satellitare
Sicuro mi perdo
Sicuro
Mi dice di un posto chiamato “Il Paradiso perduto”
Mi dice essere un “bacaro” storico abbandonato(come clientela inteso)dai veneziani più di un decennio fa  causa un cambio di gestione poco fortunato ma con un passato glorioso e tornato grande da pochi anni
Bacaro che ha visto passar di lì i più grandi nomi artistici e politici del panorama italiano ed europeo,il tutto,fino agli anni  80’ dove poi ha subito il declino.
Dopo qualche altro aneddoto sulla Venezia che fu’,tolgo il disturbo e ringrazio
Parto alla ricerca del “mio” Paradiso perduto
L’odore di mare e nafta mi accompagna per tutti i canali  in cui credo di essermi ogni volta perso
E constato senza sorpresa che mi sono effettivamente perso
Comincia a calare il sole e così anche la visibilità
Faccio un ultimo tentativo
Niente
Nn lo troverò mai
Mi avvio verso la stazione dei treni quando ad un tratto vedo delle persone sedute in maniera disordinata vicino ad una porta illuminata da luce fioca
Chi seduto per terra
Chi con i piedi penzoloni sull’acqua
Chi comodamente seduto su sgabelli o a tavola in attesa di cenare
Faccio un ultimo tentativo
Magari sanno dov’e’
E se non lo sanno mi fermo cmq a mangiare una cosa
Chiedo ad una ragazza e come per magia ricevo la risposta che temevo di non riuscire mai piu a sentire
“Guarda ci sei proprio davanti,al Paradiso perduto”mi fa’ la lei
Finalmente posso rilassarmi
L’atmosfera e’ più che piacevole
La gente sorride sembra felice
Sarà l’alcohol ma poco importa
Mi sorride
Ed in più mi offre da bere
Ringrazio e con calice in mano varcata la soglia mi faccio consigliare e descrivere i cicchetti a disposizione sul banco all’ingresso sulla destra
Li provo tutti
Ognuno e’ una scoperta di sapori nuovi..magari banali per un veneziano o veneto che sia
Non per me
Quelli che più mi colpiscono sono i “lati de sepa”o latti di seppia
I latti di seppia sono le ghiandole di cui sono dotate le seppie femmine per produrre la membrana che ricopre le uova(che al contrario di altri molluschi,sono di numero inferiore ma più grandi e ben protette appunto dalla membrana),e sono sviluppate maggiormente nel periodo della riproduzione
Per concludere  Bigoli con le sardine(Bigoli co’ e sardele)fumanti
Mentre mastico e mi godo la consistenza ruvida della pasta,ascolto le discussioni che partono riguardo quale sia la ricetta originale
La madre di chi,li faccia più buoni
Un bel clima e tante risate se penso a come siano continuati i discorsi sulle mamme
Il tutto non poteva che non essere accompagnato da Spritz,bianco(prosecco e acqua frizzante),come mi consiglia più di qualcuno,prima,e da del buon Prosecco,poi..
Le note che allietano le mie orecchie non sono musicali bensì sono i discorsi di giovani,alcuni,e meno giovani,altri,che,come facenti parte di un'unica solida comitiva affiatata,discutono del tempo della politica del governo…sembra di essere in una canzone di De Andrè
Potrei parlarvi di Martino e di tanti altri che mi han conquistato quella sera
Ma non sarò io a raccontarveli
Anche perché non mi e’ concesso
O magari solo non voglio togliervi il gusto di viverveli di persona
Se mai doveste passar di lì,non temete..
Ci saranno
E saranno sempre pronti a raccontarvi una storia ed un’altra ancora
Magari in cui si parlerà anche di me e di come ho gradito la loro ospitalità
Con la pancia piena e la mente allietata mi riavvio verso il Torrione,in quel di Oderzo
Posso dire d’aver vissuto la Venezia dei veneziani..
Anche se solo per una notte
Grazie Martino

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AUTUNNO  IN  FLASHBACK


Le giornate passano..volano,anche se non sembra
Modo di avere un’idea chiara sul Veneto e la sua cucina ancora non l’ho avuto del tutto
O meglio ce l’ho ma non e’ ben chiaro
E’ tutto confuso
Le nozioni sono tante
Ma ci sarà un tempo per tutto..ne son sicuro
E poi..
Lavorare notte e giorno nella cucina di un ristorante sito in Veneto non e’ forse il miglior modo di masticare quotidianamente una regione?
La cultura che c’e’ dietro questa?
Secondo me si
Certo..bisogna girarla,visitare,toccare con mano quello che ha da offrire
Ma quando non si può o non si ha idea da dove cominciare,mangiare una schia(gambero piccolissimo tipico della laguna veneziana,e del Polesine)ancora viva non e’ forse rendere omaggio a questo posto ed entrarvici dentro?
O assaggiare ostriche di Caorle alle nove del mattino e’ forse da meno?
Credo di no..
I giorni passano dicevo..
La confidenza con la cucina e con chi vi lavora al suo interno aumenta
Si lavora duro
I momenti per staccare un attimo il cervello sono sempre di meno e minor durata
Come detto,oltre alle mie mansioni ora devo preparare il pane,pezzarlo,cuocerlo,disporlo nei panieri,controllare che ce ne sia sempre abbastanza,che sia sempre a temperatura di servizio..
È più dura di un mese fa’ non lo nego..
Ma il tutto e’ appagante
Estremamente appagante
Mi da’ un senso di responsabilità maggiore che prima non avevo
Per questo non mi guardo indietro,quando invece di cinque minuti di pausa sigaretta ne avevo quindici dato che al tutto pensava Rena
Anzi godo maggiormente dei miei piccoli progressi giornalieri
Ora devo essere sempre in allerta
Devo controllare i “miei bimbi”(panini)
Sembra ridicolo ma giuro che a volte gli faccio i complimenti per come crescono
O per come si comportano in forno
Quando lo faccio anche lo Chef mi prende per matto
Si ride
Poi subito torna la serietà
Ma viene spontaneo provare delle emozioni per qualcuno che vedi nascere e crescere
E’ bello scoprire dove si sbaglia e avere il giorno seguente per provare a farlo meglio
Trovo che fare il pane sia gratificante
Mi piacerebbe approfondire in un futuro
Tornando a me
Le giornate cominciano ad accorciarsi
E di fuori comincia a rinfrescare
La pausa sigaretta da che la facevo alla luce di un sole che non ne voleva sapere di scendere,ora me la faccio alla luce meno calda e più cupa del crepuscolo
I prodotti che arrivano in cucina cominciano a cambiare
E come loro così io
Dalla partita dei secondi mi ritrovo a quella degli antipasti sotto la guida e l’occhio vigile dello Chef
Mi piace la chiarezza con cui mi chiede di svolgere determinati compiti
Anche se alcune cose penso di saperle fare,taccio e ascolto,rendendomi poi conto di come poi in definitiva non le sapessi fare così bene
A volte le cose mi vengono ripetute più e più volte
Come se non fossi in grado di capire l’italiano
Ciò mi urta e vorrei gridarlo al mondo
Ma col passare delle settimane invece mi rendo conto di come la ripetitività utilizzata dallo chef nel rinfrescarmi la memoria riguardo alcune operatività da svolgere,risulti indispensabile per non dimenticare appunto queste e rendere automatici alcuni miei movimenti non ancora istintivi
Col tempo miglioro
Ma come miglioro in una cosa,sbaglio in qualche altra che magari pensavo d’aver già fatto mia
Ecco
Questo mi riporta alla mente che non bisogna mai abbassare la guardia
Neanche quando si pensa di saper eseguire a menadito una cosa
Neanche quando si pensa di conoscere il gusto di qualcosa
Imparo con piacere che il presupporre di non dover assaggiare il prodotto che si è in procinto di servire,sia follia
Ogni cosa è unica e sono migliaia le variabili
Non che non lo sapessi ma sotto una guida attenta comincio a meccanizzare i miei gesti e a sentirli più naturali






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MARCO  “L’OSTE”




L’autunno mi porta a Volpago del Montello
Più esattamente alla “Osteria della Vittoria”
Vorrei precisare subito come,l’aria ormai frizzantina,non sia la mia unica compagna di viaggio,verso quest’Osteria
Con me c’e’ anche una piccola grande donna
Laura Torresin
“Il Folletto”di Montebelluna come amo chiamarla io
Ma di lei non avrei ne’ tempo ne’ modo di parlare,quindi qualsiasi domanda al riguardo,solamente di persona
E come dice sempre qualcuno di mia conoscenza
”..magari davanti ad una bella birra”
Dicevo
Non so’ di preciso come e quando,il tutto ha inizio(se durante il viaggio o di fronte la porta dell’Osteria)ma entro fisicamente e mentalmente in un Veneto che fin’ora avevo ignorato o che avevo assaporato sporadicamente
Un Veneto fatto di convivialità ,di altruismo,cordialità e dedizione completa al concetto di ospitalità
Son sicuro che chiunque,anche chi in questo momento sta’ leggendo delle mie esperienze,se un giorno dovesse mai capitare in questi luoghi,arriverà a trovarsi di fronte tutto quello di cui sto’ scrivendo
Arriverà a conoscere un uomo colto,gentile,e cordiale
Il suo nome è Marco..il cognome non lo so..la Torresin mi ha detto che si chiama Marco “l’Oste”(l’oste un tempo aveva un ruolo fondamentale all’interno del panorama culinario..non solo svolgeva una funzione di “aggiornamento”gastronomico,portando in paese le nuove idee assorbite durante il girovagare alla ricerca di vini e derrate alimentari,ma era l’alternativa “laica” al ruolo culturale dei parroci e questo e’ dimostrato anche dai tanti processi contro osti e mugnai da parte dell’inquisizione)e questo mi basta
Ecco,magari posso dire in aggiunta,per esperienza personale,che Marco tratta tutti i suoi ospiti come fossero le persone a lui più care
Gli riesce del tutto naturale,spontaneo comportarsi così
Un profondo conoscitore della gastronomia locale e dei vini veneti(e non)
Un ottimo marito ed uno splendido padre
Si pensi solo che sono capitato lì durante “il giorno della famiglia”,ossia il giorno di chiusura del locale che lui normalmente dedica alla sua famiglia e alle sue passioni,e non sono stato allontanato con una qualsiasi scusa,come avrebbe benissimo potuto fare,anzi,son stato accolto nel suo mondo e nella sua dimensione senza alcuna esitazione…questa cosa mi ha emozionato non lo nego
Arrivato lì mi offre da bere e dopo avermi fatto accomodare mi domanda del perchè della mia visita
Ascoltate le motivazioni(secondo la mia “guida” lui è il Veneto)mi fa’ sedere e mi comincia a parlare di tutto ciò che ruota,ed è ruotato,intorno al mondo del cibo e del vino nel veneto e più precisamente nel veneziano(anche se l’osteria e’ in provincia di Treviso lui e’ originario di Venezia)
Mi parla dell’influenza ebraica nella cucina veneziana
Di come la parola “ghetto”derivi dalla forma dialettale veneziana usata per indicare il getto,ed in questo specifico caso il getto di ghisa fusa di scarto che veniva buttato in acqua o per le strade,dalle fonderie del tempo,e di come,proprio lì,in prossimità di quei “getti”,venissero confinati gli ebrei
Di come il ghetto veneziano sia stato il primo al mondo
Di come veniva condita l’insalata secoli fa’ ,quando,tornato dai campi,il padre di famiglia(detto allora patriarca),per il poco tempo a disposizione prima di ritornare a lavoro,fosse solito mettersi aceto ed olio in bocca,e dopo aver scosso la testa più volte,condire con uno spruzzo l’insalata..
Di come il baccalà mantecato,quando in gran quantità,sia bello farlo in due,con uno che usi la frusta per batterlo velocemente prima che si freddi(in una pentola dai bordi alti),e l’altro che versi l’olio,a filo
Di come si senta “ad orecchio” se sia mantecato o meno(mi dice che si sente la differenza di suono che intercorre tra quando non è mantecato a quando lo è)
Un uomo magnetico,giuro
Mi parla del Prosecco,di come originariamente avesse il tappo a corona e di come solo poche persone ancora lo facciano Sur Lie,(sul lievito,quindi con fondo torbido)e con questo tipo di chiusura,di come una di queste persone sia un signore di nome Loris Follador che mi consiglia di andare a conoscere.
Mi parla di come prediliga il Prosecco fatto con un 80%di prosecco e un 20%di bianchetta
Di come il vitigno Perera stia quasi scomparendo,e di come il Cabernet e il Merlot,pur essendo vitigni bordolesi,possano dirsi a tutti gli effetti dei vitigni autoctoni,per quanto ben radicati nel territorio(il 90% solo nel trevigiano)
Mi parla del Raboso,della sua nobilitazione solo recente,grazie anche ad un paio di aziende(una di queste è Casa Roma)del trevigiano,e di come possa accompagnare bene delle conversazioni post cena con amici.
Di come sia speciale il vino di un’azienda di Susegana(Collalto)fatto con uve Wildbacher(di origine austriaca)e di come lo sia altrettanto,il Soave fatto da un tale Angiolino Maule
Mi parla della Prima Guerra Mondiale e dell’alimentazione che avevano le giovani reclute,provenienti da tutt’Italia,mandate a morire sul monte Grappa
Mi mostra con binocolo,con l’entusiasmo di un bambino,l’Ossario,dove sono sepolti migliaia di caduti della Prima Guerra Mondiale,e mi invita ad andare un giorno a vedere se qualche mio avo sia seppellito lì
Mi racconta un’infinita’ di cose,ma molte di queste non riesco a segnarle su foglio ed altre per la velocità e la passione con cui le dice,non riesco ad imprimerle nella memoria(complice anche il dialetto)
Ma lo lascio parlare e mi lascio cullare dalle sue storie
Di non riuscire a ricordare tutto sinceramente a me poco importa
Lui,come tutte le persone incontrate da qualche mese a questa parte,che hanno avuto il piacere o il dovere di istruirmi,o se non istruirmi,d’indirizzarmi per una  via ideologica ben precisa,fatta di fatica,dedizione allo studio e ricerca continua,non stanno facendo altro che costruire ora le basi di quello che un domani sarò
E se un giorno non ricorderò come si chiamava l’ultimo Doge di Venezia(Lodovico Manin 1797anno della fine della repubblica di Venezia)poco importa
Anzi meglio
Perché non ricordandolo sarò costretto a riportare alla memoria qualche incontro ed esperienza fatta in passato
E da lì ripartire alla ricerca del tassello mancante che magari mi porterà verso nuove conoscenze
Magari sarò un “qualcuno”(mi fan’ ridere le persone che identificano con quel termine una persona di valore,scusate)
O magari un nessuno(lo preferisco di gran lunga)
Chiunque sarò non importa
Sarò sempre e comunque io
 Una persona per sempre essere grata alle persone speciali incontrate durante tutto questo lungo e duro percorso
Grata a coloro che son stati capaci di risvegliare in me una curiosità sopita nel corso degli anni che invece era una peculiarità che mi aveva sempre contraddistinto sin da bambino..quando ero solo una testa ambulante
Sarò sempre riconoscente a queste persone per avermi fatto aprire gli occhi in maniera effettiva,ed avermi fatto notare come ogni giorno si possa godere di qualcosa ignorato anche solo l’istante precedente
E’ grazie a queste persone se oggi sto’ vivendo quest’esperienza profonda fatta di fatica e poche ore di sonno,ma fatta al contempo di migliaia di stimoli e nozioni
Ed è grazie a loro se un domani vivrò più intensamente il mio Paese
O magari un altro
Ma anche un profumo
Un colore
Un  sapore..con un altro spirito
Sarà anche grazie a queste persone
Potrà sembrare strano per chi non ci e’ dentro,ma son sicuro che molti di quelli stanno vivendo la mia stessa esperienza(o simile),o che l’han vissuta,sanno di cosa sto’ parlando e se mi stanno leggendo di sicuro stanno annuendo
Continua così Marco “l’Oste”
Continua a far della cultura così come stai facendo..
Sempre
Però ora  è tardi
Virginia,tua figlia,deve studiare
Ed io proseguire il mio viaggio verso Valdobbiadene,dove tenterò di entrare a casa di Loris Follador proprietario della piccola azienda “Casa Coste Piane” per farmi raccontare qualcosa sul “suo” Prosecco

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 LORIS   “SUR LIE”




Arrivato alla fine della stradina parcheggio vicino quella che sembra essere una stalla
Come scendo vengo aggredito da due oche
Soffiano inviperite e mi si avvicinano con fare minaccioso..
Forse sarebbe stato meglio trovare un cane
L’avrei gestito meglio
Mi volto a destra e vedo una porticina
In meno di un secondo sono già dentro
Maledette,ma che v’avrò mai fatto
Davanti a me si para la visione di quella che sembra essere una merenda pomeridiana tra amici
Mi presento e mi scuso dell’ingresso all’Indiana Jones senza però riuscire per imbarazzo a spiegare il perché di quell’irruzione
Tutti hanno smesso di bere e mangiare pane e soppressa e mi fissano
Due secondi di silenzio
Mi faccio coraggio e spiego il perché della mia visita
Come finisco la mia presentazione(con l’impaccio e lo stile di chi sta recitando la poesia di natale)uno dei ragazzi(che poi scoprirò essere assieme ad un altro seduto al suo fianco,uno dei figli di Loris)mi invita a sedermi per degustare il prosecco,motivo per cui in effetti li sono andati a trovare..
Mentre beviamo chiedo di Loris
Mi dicono che sarà a casa a breve,in tono molto rispettoso
Non l’ho mai visto ma leggo nei loro occhi,compresi quelli degli altri commensali profondo rispetto per la sua persona
Nell’attesa,tra un sorso e un altro,mi dicono che quel che producono e di cui si occupano e’ il vin col fondo(detto anche prosecco “sur lie”),il prosecco come si faceva una volta, quando non c'erano macchinari costosi per spumantizzare.
Prosecco che si imbottiglia una settimana dopo Pasqua, lo si lascia a fermentare sui suoi lieviti un paio di mesi e poi è pronto da bere. E' un prosecco a residuo zuccherino uguale a zero e moderatamente torbido
Cerco di guardare attraverso la bottiglia ma non riesco a focalizzare il torbido come mi aveva mostrato Marco l’Oste
La fioca luce diffusa dal fuoco del caminetto non lo permette
Mentre continuano a parlarmi della loro azienda e di alcune vicende inerenti la cultura del prosecco di Valdobbiadene e Conegliano(una su tutte quella dell’abitudine,ancora attuale,che hanno alcuni produttori di prosecco,di sparare al cielo vere e proprie“cannonate” d’aria,per spazzare via,si le nuvole dal proprio vigneto,ma anche per spedirle sopra i vigneti “rivali”)la mia attenzione viene catturata dal tavolo e dalle sedie su cui siamo seduti
Chiedo loro da dove provengano o chi le abbia fatte
Il primogenito mi dice che gliele ha fatte Stepan Zavrel artista della Repubblica Ceca
Molte cose in quella stanza,una volta locale stalla,provengono dalle mani e dal genio di quello che mi dicono essere un grande uomo
Chiedo della sua vita
Mi dicono di aspettare Loris
Bene
Nel frattempo mi accorgo di una donna minuta,che dal primo piano scende le irregolari scale a muro
Mi saluta
Le rispondo con un sorriso e quando faccio per alzarmi con un sorriso ancor più grande del mio mi “obbliga” a restar seduto
Si unisce ai discorsi
E’ la donna di casa
La mamma
L’atmosfera si fa sempre più amichevole e conviviale
Il ritmo è scandito dai bicchieri di prosecco che fan su e giù(per questo lo chiamano “beverino”)e dalle fette di soppressa tagliate a piacere dai commensali
L’ingresso di quella figura,la mamma per intenderci,mi ha messo in uno stato di placido benessere interiore
Ha,con la sua sola presenza,unito tutti come un’unica prole
Uno dei figli esce a fumare
Lo seguo
Le oche sono ancora lì
Ma sembrano anche loro ammansite dalla situazione
Mentre mi spiega come lui ed il fratello abbiano imparato dal padre ad interpretare la disposizione delle nuvole in cielo(quindi il vento)per capire che tempo farà,e come comportarsi di conseguenza col vigneto,e di come la visione di un pettirosso sia sinonimo di nevicata imminente da quelle parti,ecco che fa il suo ingresso in scena Loris,il capofamiglia
Con giornale sottobraccio ci saluta,come fosse scontata la presenza di un estraneo nella sua casa,ed entra
Rientriamo anche noi
Una volta dentro comincio a studiarlo
Ha la faccia da duro ma i suoi modi sono gentili e questo mi piace
Spiego il motivo della mia visita
Mi sorride
Mi invita a salire al piano di sopra per un caffè
Accetto di buon grado
Arrivato al piano rimango a bocca aperta dagli affreschi che decorano le pareti
Senza avere neanche il tempo di chiedere chi li avesse fatti mi dice essere un regalo di Zavrel
Mi comincia a parlare di una grande persona,dalle mille risorse
Grande esperto e conoscitore di vini,eccelso artista specializzato nell’illustrazione per l’infanzia,profeta del pluralismo multiculturale nonché amico vero
Mentre mi racconta della sua vita del forte legame d’amicizia che li legava(Zavrel è morto nel 1999)ammiro le pareti che mi circondano
Proprio in cima alle scale sulla sinistra c’e’ un affresco raffigurante S. Venanzio,uomo straordinario e letterato del sesto secolo,nato in Valdobbiadene,che ha vissuto gran parte della sua vita in Francia(dove è stato anche eletto vescovo)e che nei suoi scritti(spesso incentrati sulla natura oltre che sulla fede)testimonia la presenza della coltivazione vite nella zona natia
Vite,ed il suo culto ancestrale,rappresentati invece sulla parete del muro portante
L’affresco ritrae una giornata di vendemmia in cui oltre agli uomini sono presenti donne e bambini,tutti partecipanti a quello che oltre ad essere un giorno di lavoro sembra essere un giorno di festa,un rituale sacro
Sulla parete adiacente a quella della giornata di vendemmia,Zavrel ha invece voluto raffigurare in maniera realistica diverse erbe aromatiche con i corrispettivi nomi scientifici
L’edificio e l’atmosfera mi hanno rapito
Vorrei non dover andarmene via
Ci sediamo tutti intorno al tavolo
Loris mi comincia a parlare di come la paternità del culto del vino non sia da attribuire ai Romani bensì agli Etruschi,di come dei vitigni presenti in Slovenia,Macedonia ed in altri paesi del Medio Oriente,siano riconducibili per caratteristiche fisionomiche  e sapore del frutto a dei “vitigni italici” e di come in tutto il versante est dell’Italia i vitigni a bacca bianca e a bacca scura(secondo lui)provengano tutti da due soli ceppi poi evolutisi nei secoli in base alle caratteristiche del terreno e del clima in cui impiantati
Di come sia convinto che solo il contadino possa fare il vino buono(mi confida di non sopportare chiunque parli e sparli a proposito di vino senza essersi mai sporcato le mani di terra e mosto)e di come viaggi sulla stessa lunghezza d’onda di Josko Gravner e Gianfranco Soldera ,essendo estimatore del loro estremismo vinicolo
"Perché il prosecco fermenti sui suoi lieviti bisogna che i lieviti ci siano, cioè l'uva deve essere sana e pulita" mi fa parlando del suo prodotto e delle sue uve
Mi racconta di come si dispiaccia(ma non per questo non si batta)per la fine che il vino sta facendo,sia per colpa dei ricchi che comprando aziende e terreni si improvvisano viticoltori non avendo mai “sentito” la terra,sia per colpa dei diserbanti e del sovra sfruttamento del terreno e delle piante(come l’anticipazione della potatura da parte di molti suoi colleghi che anno dopo anno indebolisce la pianta di vite)
Esprime poi tutto il suo disappunto per i format televisivi contemporanei inerenti la gastronomia(in particolare quelli in cui si discute di enologia)pieni di “farabutti”,malinconicamente rimpiangendo i tempi in cui Luigi Veronelli e Ave Ninchi(per chi non la conoscesse nel “La Famiglia Passaguai” interpreta la moglie di Aldo Fabrizi)sua intelligentissima spalla in “A Tavola alle 7”,facevano dell’informazione e della cultura a modo loro tutelando il patrimonio enogastronomico italiano
Finisce poi per leggermi un articolo di un quotidiano(quello che aveva sotto il braccio appena arrivato)in cui un giornalista critica sapientemente l’incapacità di gestire il problema dell’alcohol da parte del governo
Incapacità che penalizza a suo dire il vino,chi lo produce(l’autore dell’articolo fa notare come non si veda mai una bottiglia di vino per terra ma solo bicchieri e lattine d’altra natura)ma soprattutto chi ne è un’amante
Vino che mi dice essere stato da lui mai bevuto lontano da una tavola o per il semplice gusto di ubriacarsi...vorrebbe solo più cultura al riguardo
Non posso fare altro che dargli ragione annuendo
Una persona magnetica dalla profonda cultura e dall’animo nobile
Resterei per ore ad ascoltarlo..
Ma non posso
Saluto e ringrazio di cuore tutta la famiglia dell’ospitalità e delle ore dedicatemi promettendogli di andarli a trovare ad una fiera del vino in Slovenia,pur sapendo di non poterlo fare
Con due bottiglie di prosecco“sur lie” sul lato passeggero,ed un biglietto da visita(un metro per un metro)di rara finezza e simpatia nel bagagliaio,faccio il mio ritorno ad Oderzo,da una valle pregna di storia,animi nobili e un senso d’ospitalità “vero” .
Un grazie infinite di cuore Loris

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  FINESTRA  APERTA  SUL  VENETO




Venezia nel settimo secolo era un emporio commerciale di periferia dell’impero bizantino,e grazie soprattutto alla scaltrezza dei suoi marinai e dei suoi mercanti,che erano riusciti ad avere la meglio su i rivali comacchesi per quanto riguarda la gestione del commercio marittimo con la capitale Bisanzio,divenne sempre più un caposaldo dell’impero
Ciò permise ai mercanti lagunari di allargare il loro raggio d’azione e di poter toccare con mano le meraviglie provenienti anche dal più lontano Oriente come nuove erbe aromatiche(rafano,origano,menta)e spezie(pepe,cannella,senape,cumino,coriandolo,chiodi di garofano)che costantemente arrivavano tramite carovane nei porti di Alessandria e Costantinopoli e da lì nelle “galere di mercato” veneziane
Grazie alla bravura dei suoi commercianti,Venezia in breve tempo divenne la nuova Bisanzio(avendo nove decimi del proprio commercio rivolti ad Oriente)e secondo alcuni,per secoli il vero e proprio“mediatore dell’universo”
Deteneva il monopolio del commercio delle spezie,che all’epoca ,in occidente,erano apprezzate non solo per le virtu’ gastronomiche o antisettiche,ma anche per il loro fascino..infatti il mondo cristiano era ammaliato dall’ethos(qui inteso come piacere,ma il vero significato del termine e’ competenza,capacità)sensuale che la religione musulmana attribuiva al cibo.
Ben presto Venezia arrivò a detenere il monopolio in tutta Europa,anche dello zucchero,importato dalla Siria e dall’Egitto,e dell’olio d’oliva importato da Creta e Corfù ed esportato anche per via fluviale in Lombardia e Trentino
Nel Settecento i mercanti veneziani,cominciarono ad allontanarsi dal commercio marittimo,lasciandolo così nelle mani dei capitali ebraici,e spostarono le loro attenzioni sul business degli investimenti fondiari che garantiva sicuramente meno rischi ed era più piacevole..il tutto però mai chiudendo le porte all’Oriente,anzi privilegiando le popolazioni provenienti da est di maggiori attenzioni
Venezia si può definire come l’ultima “polis” d’Occidente,e questa sua peculiarità,come anche quella di essere considerata in tutta Europa una città in cui le minoranza etniche e religiose riuscivano a mantenere una loro identità
Questa ricerca della pacifica convivenza,viziata dalla continua ricerca della politica mercantile di mantenere buoni rapporti con potenziali compratori,non ha fatto altro che ingrandire il sentimento della “venezianità”,l’orgoglio dell’essere veneziani,nei suoi abitanti
Da sottolineare come i veneziani vedessero di buon grado siriani,dalmati,turchi e greci(da cui si facevano anche mandare buoi selvaggi vivi per poi poterli macellare con calma dopo un periodo di riposo sull’isola del Lido)e come non tollerassero invece nella loro città la presenza di lombardi genovesi o toscani(chiamati “foresti barbari a cavallo”)
I veneziani preferivano i sapori orientali alla grassezza della cucina padana..esempio su tutti per spiegare quello che sto’ dicendo e’ la forte influenza sulla cucina veneta da parte di quella armena
Sono stati infatti gli armeni che insegnarono a cucinare ai veneziani il riso “pilaff”(i turchi assoggettando il popolo armeno in seguito ne hanno preso la paternità),a coltivare gli spinaci e le melanzane,le mele cotogne ed i meloni,e soprattutto a combinare i sapori ed i profumi in un amalgama raffinato ed equilibrato..
Ancora oggi gli ingredienti e molte preparazioni sono simili(se non identiche)sia per gli ingredienti utilizzati(uva sultanina,cannella,mandorle,zucchero,pinoli,verdure piccole,come i piselli)che per le tecniche atte a cuocerli
Ma di tutte le etnie presenti a Venezia,quella che più di altre ha permesso lo sviluppo della cucina veneziana,della sua evoluzione e di conseguenza di una sua identità,è stata quella ebraica,e questo grazie alla cultura propria di queste persone
Erano ricercatori,maestri di musica,medici;questi ultimi erano stimatissimi per l’attenzione che ponevano alla medicina preventiva,sperimentale,di ricerca,interessata all’ambiente,alla salubrità delle abitazioni,alla prevenzione della peste,ai metodi di conservazione degli alimenti..tutto questo,più la conoscenza che avevano sull’utilizzo delle acque e delle erbe venne notato dai furbi mercanti e diplomatici veneziani,grandi esploratori,i quali senza instaurarono immediatamente un legame di profonda corrispondenza..
Questo portò,durante il periodo di massimo splendore della Repubblica della Serenissima, alla nascita di locande(dette “Cavarsere”) sulle rotte commerciali balcaniche,che in realtà altro non erano che veri e propri centri termali dotati di grandi cucine, in cui i veneziani chiudevano affari,ed in cui gli ebrei,loro “soci”,offrivano assistenza ai clienti,vendevano loro rimedi ristorativi,o insegnavano a chi interessato la terapia delle acque e delle erbe..
Da quelle esperienze gli ebrei presero spunto,e data la ristrettezza delle case del Ghetto,cominciarono a prendere in gestione molte delle taverne che in città si stavano man mano diffondendo e lì seguendo la falsa riga delle “Cavarsere”,cominciarono a diffondere nuovi gusti ed abitudini
Primo su tutti l’utilizzo massiccio di frutta e verdura
Ma anche la tecnica della stufatura lenta in umido con coperchio pesante di carni e verdure
O la frittura del pesce per il “saor” solo con l’olio(altri grassi il giorno successivo si sarebbero consolidati)
L’utilizzo sapiente e non improvvisato del “recupero”(tipo il collo ripieno o il bollito marinato)
La cucina a Venezia,sia durante il periodo di massimo splendore della Serenissima,che per tutto quello del lungo declino,sembrava un Bazar dove pullulavano mescolanze e contaminazioni indistinte,dove si poteva trovare di tutto,dal rafano al marzapane,dalle salse agrodolci e quelle speziate e,come scrisse poi in un suo articolo,Guido Piovene,noto giornalista e scrittore “Venezia nei comportamenti nel paesaggio e nella cucina conserva da sempre la sua luce semiorientale”
Nella cucina veneta,ancora oggi,e’ presente quello che si dice il “dolzegarbo”che figlio non è che di queste contaminazioni
Per  “dolzegarbo” si intende quella sensazione tattile che si prova masticando qualcosa di cedevole al tatto ma corposo,dai contorni rotondi come ad esempio l’uvetta,ed e’ una sensazione che si ripete all’infinito in mille piatti(dal saor di pesce e di verdure al baccalà mantecato)ed e’ il segno di riconoscimento della cucina veneta,che porta ancora con sé le contaminazioni armene e siriane avute in passato.
Interessante anche quello che dice Misette Godard nel suo “Il gusto dell’agro”riguardo il “morbin”dell’aceto
Il “morbin”nel suo saggio di gastronomia storica è descritto come“..una presenza maliziosa che introduce una sorpresa”
Non lo avrebbe potuto descrivere altrimenti..
Avrebbe potuto dire “l’aceto nella cucina veneta e’ una presenza mai greve,fresca,vivace” come si dice nel ”Ricette di Osterie nel Veneto”
Avrebbe potuto dire mille altre cose
Ma con quella frase ha reso perfettamente l’idea
Da notare come la morbidezza e la corposità della salsa base di tantissime ricette venete di cerali(bigoli su tutti),verdure,carne e pesce,che ha come ingrediente principale,le sarde(o acciughe)salate e disfatte in abbondante cipolla cotta in modo morbido e tondo(con aggiunta a seconda dei casi di cannella,zucchero,aceto,aromi piccanti o dolci),assomigli tantissimo al “garum”(o“liquamen”)romano,insaporitore di vivande a base di pesce fatto macerare nel sale con aggiunta di erbe e spezie
La spezia nella cucina veneta e’ una presenza partecipe all’intima essenza del cibo stesso
Cibo da gustare,esplorare,assaporare
Che suscita curiosità
La stessa curiosità che,per i mercanti veneziani era innata e che li spingeva sempre a volgere lo sguardo all’Oriente
Alla ricerca del piacere dei sensi
Il piacere per Brillat-Savarin(noto politico e gastronomo francese vissuto a cavallo del diciottesimo secolo) era quello della Quaresima(periodo in cui vige per i cristiani il digiuno ecclesiastico,atto a permettere una conversione,e un avvicinamento maggiore e prolungato a Dio e alla sua parola)
Il desiderio del godimento negato
L’attesa dello “squaresimarsi”
L’attesa di rompere l’astinenza
Astinenza mai esistita per i veneziani(nonostante in due periodi della quaresima non fosse permesso mangiare,non solo la carne ma neanche pesce,uova e latticini)perché grazie alla loro astuzia riuscivano a sopperire alle mancanze imposte dal periodo di meditazione in svariati modi
Esempio al posto del caffè e latte a colazione bevevano cioccolata calda
Invece del pesce(che settimanalmente di norma era un chilo per abitante)mangiavano molluschi,crostacei d’ogni sorta(ostriche,granseole,capesante,schie,moeche)e rane,variando così,inconsapevolmente,la loro dieta
Rane che non essendo pesce,rientravano nella cucina dell’astinenza e del digiuno
Venivano pescate a mani nude o con le reti nei fossi e nelle risaie dell’entroterra(ma le si poteva comprare anche dai “ranari”che di solito erano degli handicappati fisici,mendicanti,vecchietti,o anche bambini di famiglie bracciantili,i quali le vendevano a bordo strada in cestelli),marinate in aceto,sale,pepe ed aromi,poi lavate sotto acqua corrente e poi alla fine infarinate e fritte(utilizzate spesso nei conventi in preparazioni come guazzetti,risotti,frittate o tortini)
Grazie all’influenza della cultura bizantina tutta rivolta all’acqua,al mare e alle erbe,mangiavano anche un’infinita’ di vegetali poiché sapevano come trattare e cucinare tuberi,erbe,radici,germogli presenti in grandi quantità nelle lagune,risaie,valli,fiumi
Queste capacità furono affinate poi nei conventi durante i periodi di”digiuno”,e ciò permise l’evolversi della cucina popolare ed urbana veneta
Gli diede in poche parole una storia
Molte ricette di oggi portano come epiteto,alla” fratona”,alla “certosina”,o alla”cappuccina”
E questo grazie anche alle quaresime,che hanno saputo integrare le norme e prescrizioni cristiane con le raffinatezze orientali
Con lo spostare l’attenzione per i loro affari,dal mare alla terra,i ricchi mercanti veneziani cominciarono pian piano a conoscere l’entroterra
Lì portarono il loro gusto “urbano”,non ricercandone di nuovo nella campagna
Questo altro non fece che creare un’osmosi tra i menu urbani e i prodotti dei campi
La “poenta”(polenta)ad esempio,piatto “unicum” dei poveri contadini,entrò immediatamente a far parte dell’alimentazione urbana,e questo quasi come fosse uno snobismo esotico(per esotico intendo l’estraniazione dalla realtà in maniera spaziale o temporale tipica del romanticismo)
Questo fondere le due culture,quella urbana e quella campagnola,quella dei ricchi con quella dei poveri,l’avere dei cerimoniali corali,come potevano essere feste pubbliche dove venivano codificati de veri e propri menu(vedi risi e bisi,anatra rosta,ostreghe e “peozzi”(cozze),”sparazi e bisi”,”fasan e pernise”etc etc)non ha fatto altro che confondere la cucina di palazzo con quella di città e così facendo,ha permesso il consolidarsi nel tempo dei piatti simbolo della venezianità
Un segno di identità oltre le classi sociali
In tutto questo però non bisogna dimenticarsi che se da una parte l’avvicinarsi della cultura urbana a quella di campagna ha avuto degli aspetti positivi,dall’altra ha nuociuto in alcuni casi gravemente all’ecosistema fin lì ben regolato
Tra la fine del cinquecento e l’inizio del seicento,con le bonifiche,l’introduzione della maiscoltura a discapito dei legumi quali lenticchie,fave,piselli,ceci(che per secoli erano stati il “pane” dei poveri)e l’abolizione dei diritti di raccolta,caccia,pesca,la qualità e la varietà dell’alimentazione popolare andò man mano peggiorando
E questo fu dovuto anche alla riduzione delle aree a libero pascolo dei suini ovini e caprini che fece crollare la presenza di proteine nell’alimentazione
La farina di mais saziava il popolo senza nutrirlo effettivamente
Il ceto urbano invece poteva ancora permettersi il riso o “pianta di civiltà”(così chiamato da Braudel,noto storico francese del secolo scorso,nel suo”Civiltà ed Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo ll”)
La polenta era l’unico cibo giornaliero per molti che vivevano nelle campagne
A colazione abbrustolita
A pranzo in forma liquida,bollente
A cena ancora abbrustolita
A Verona e Rovigo(e in tutto il polesine)si cuoceva la polenta(pinza o pinssa di mais)sotto le braci e la si condiva con strutto ed abbondante pepe
All’osteria “Bugiardo”in una traversa di Piazza dei Signori ne ho mangiata di accompagnata a lumache,a del bollito misto di maiale con del Cren grattato sopra O anche vecchio stile,con strutto e pepe
A Padova ed in tutto il Polesine la si mangiava in minestra sotto il nome di “malafanti”(lardo e ossa di maiale ad insaporire)
Quando non c’era una carestia in corso,il contadino poteva permettersi baccalà(sarebbe stoccafisso ma nel triveneto viene chiamato baccalà il merluzzo essiccato),aringhe,sarde in saor
Altrimenti la sera semplice minestra di farina di mais,mentre di giorno poteva essere arricchita con erbe lesse,radicchi conditi con lardo e aceto di vino
Alla domenica a volte si concedevano riso o pasta fatta in casa(fatta con farina di frumento)avente svariate forme,condita spesso con sardelle e poco olio
Da notare come le paste secche(eccezione fatta per i bigoli)non siano proprie del Veneto e di come siano state introdotte ed utilizzate in maniera massiccia sul finire del secondo dopo guerra quando,come raccontatomi da alcuni anziani,cominciò ad essere venduta sfusa in larga scala nelle drogherie
Come sfusa era venduta la passata di pomodoro,un prodotto che nulla c’entra con la tradizione regionale
 Le paste secche sono sempre dovute sottostate al potere indiscusso del riso,senza riuscire a ritagliarsi mai uno spazio rilevante nella dieta locale
Vuoi per questioni di tempo,vuoi per motivi socio-climatici e vuoi anche per i prodotti della terra
Riso sempre visto inizialmente come minestra
Per un contadino,anzi più che per lui,per la moglie,scusate,non ci poteva esser tempo da perdere nel fare pasta fatta in casa o un risotto viste le molteplici mansioni da svolgere
Risultava molto più semplice e proficuo,mettere a sobbollire la minestra(spesso di legumi)con il riso,a fuoco bassissimo,sbrigare le mansioni giornaliere essendo così utili alla causa domestica,piuttosto che concentrarsi in preparazioni più elaborate
La pasta fresca,al contrario della secca,e’ riuscita a ritagliarsi uno spazio(solo perché nella domenica,giorno di riposo,la donna di casa poteva dedicare più tempo al sollazzo,sempre e cmq“magro”,della famiglia)con le “tajadele”(tagliatelle sottilissime,quasi come fili,stile orientale)le lasagne(tagliatelle larghe)e i “rufioi”(ravioli)
La carne quasi mai
Era concessa solo a Natale,Pasqua,matrimoni,feste agrarie e patronali
A Chioggia riuscivano a permettersi pesce,ma pescato nei fossati e nei canali come lucci,barbi,tinche ed in mancanza,riuscivano a procurarsi anche “schie”,piccoli gamberi,e rane
A Treviso,Jesolo e nelle zone limitrofe,grazie ai fiumi ci si poteva permettere anche in tempo di miseria l’anguilla(veniva catturata semplicemente chiudendo le griglie dei mulini)che veniva fritta,o soffritta con aglio olio alloro e poco pomodoro(qualcuno so che avrebbe da ridire ma e’ così che la facevano)o anche lessata nel vino bianco
Prima d’ogni preparazione,l’anguilla veniva messa a riposare in farina di mais e aceto per toglierne l’odore di “freschin”(parola intraducibile in italiano,ma che sta’ per odore forte)o anche come si soleva fare sul fiume Sile,veniva messa in casse forate sul letto del fiume per un lasso di tempo che poteva arrivare anche ai due mesi,affinché perdesse i grassi ed umori cattivi in eccesso
È per tutti questi fattori sovra citati che è nata e si e’ consolidata la cosiddetta”cucina della sopravvivenza”,i cui principi si fondano sulla cultura del conservare
Il conservare che alla fine altro non è che un modo come un altro(per i poveri l’unico),per sconfiggere le stagioni
Una vita fatta di stenti e fatica che portava nel poco tempo libero gli uomini a chiudersi nelle osterie a giocare a carte o “mora”,e le donne a fantasticare su fate,creature dei boschi come il Salvanel(la paternità del folletto e della leggenda però,e’ trentina,precisamente della Val di Fiemme)
Molti invece scelsero la via dell’emigrazione
Tutto ciò per dire cosa?
Per dire che la cucina veneta e’ figlia di tutto questo
Del suo passato fatto di alti e bassi
Della potenza economica e culturale di Venezia che ha favorito scambi ed osmosi tra diverse culture
Solo dopo lo sfarzo,prima,e la decadenza,poi,della Repubblica di Venezia,si riesce ad avere un’idea precisa riguardo l’identità gastronomica fino ad allora non omogenea
Omogeneità regionale invece presente oggi
Dominata dall’eredita’ veneziana
Ma sempre con quell’aria provinciale che gioca a combinare il “dolzegarbo”delle spezie e degli influssi orientali,con lo “s’ceto”(schietto inteso come privo di contaminazioni)dei sapori del territorio
Un Veneto dai diversi volti
Dalle diverse peculiarità
Sapori forti e corposi,di campagna,a Verona,Padova,Rovigo
Verona regno dei trippari,lardaroli,salsicciai,gallinari ,fritolieri(a Venezia  i “fritolini” venditori ambulanti con tanto di licenze commerciali vendevano per strada pesce fritto e polenta) e le loro minestre pronte,fatte spesso con riso(risaie presenti nella bassa veronese,in cui si coltiva anche il Vialone Nano,qualità di riso natia dell’isola della Scala),gnocchi,polenta calda con burro e formaggio o anche il budino di sangue di maiale(detto il “dolze” di maiale)
Rovigo e le sue osterie dove le preparazioni che la fan da padrona sono la “bondjola”(cotechino grasso),fegato dolce-garbo,animelle,polenta e fagioli ed Il “musso”(brasato d’asino)
Preparazione che potrebbe far storcere il naso ai più(infatti di recente il “musso”si è piazzato al decimo posto dei piatti più strani del mondo)ma dall’intensità di gusto incredibile,e posso garantire,avendo vissuto a Rovigo per un anno
Padova(come anche il Polesine),con i “latesini”fritti o sbollentati e poi rosolati con vino o carciofi(animelle degli agnelli,capretti e vitelli da latte),e la “putinara”(utero della scrofa)bollita o in umido,e che Apicio(storico della Roma repubblicana)cita,in quella che si dice essere la sua opera(un cuoco di nome Celio la attribuisce ad Apicio,ma non se ne certi )”De re coquinaria”,come essere una leccornia per i Romani che la facevano ripiena di pepe,cumino,porri e “garum”.
Con la bollitura della gallina(padovana)alla “canevera”(il cappone si presta alla stessa preparazione)in vescica di maiale ed aromi,il cui brodo può tornare utile per la “minestra maridada ala padoana”in cui si cuociono,appunto nel brodo,bargigli,ventrigli,fegatini e creste in egual quantità.
O anche svariate preparazioni con la zucca come la “zuca col late”(arrostita,immersa calda a pezzetti nel latte freddo,cosparsa di zucchero e cannella,o viceversa fredda nel latte bollente)o la “zuca rosta”(arrostita,lasciata freddare,segnata con un coltello e nei solchi fatti,si passava il dito precedentemente ricoperto di una miscela fatta di formaggio,cannella in polvere,e prima di servirla i solchi contenenti il condimento venivano richiusi col dorso del cucchiaio)o le semplici merendine dei piccini che consistevano nei fiori di zucca fritti
Impossibile non menzionare i “sugoli”(una sorta di budino fatto con zucchero,farina e mosto “fiore”)dei colli euganei(colli situati a sud-ovest di Padova)tipico dolce della realtà contadina di un tempo ancora oggi preparato nelle campagne secondo tradizione
I “sugoli”simbolicamente costituivano il meritato dolce di premio per chi aveva lavorato duramente sia nei campi per tutta una stagione,sia in cantina(veniva dato poi a tutti,visto il clima di festa che si veniva a creare..anche ai bambini che spesso seguivano incuriositi tutta la preparazione,ma in quantità moderate visto il potere altamente lassativo)
Venivano preparati con mosto di Marzemino,Raboso,Merlot
Ma anche con uve di Clinto(o Grinton),arrivate in Veneto dal Canada e America alla fine dell 800’,ora quasi scomparse
Perché?No non per colpa della Fillossera
Anzi si dice sia molto resistente ai parassiti e ai funghi
L’abbandono della sua produzione,e la sua messa al bando dal commercio,si dice siano dovute al fatto che quest’uva,detta “americana”,contenga un quantitativo eccessivo di pectina tale da provocare una maggior produzione di alcohol metilico(metanolo),e poter così causare gravi lesioni celebrali(ma anche alla retina e al nervo ottico causa i suoi metaboliti).
Alcuni contadini nel bellunese e nella zona di Feltre però ancora coltivano questo vitigno per uso personale
Sapori più morbidi,ma di certo non senza carattere,nella cucina Trevigiana dove ci sono piatti come la “sopa coada”(che proprio zuppa non è,bensì un pasticcio di pane e piccione,all’occorrenza pollo) che si dice “coada”perché “covata”a lungo nel forno(si può confrontare per lo stesso criterio utilizzato,con la “quata”(nascosta)sarda che sotto il brodo ed il pane nasconde polpa di tordi)
Come gli gnocchi di polenta(ai tempi non si sprecava nulla,quindi una volta fatta la polenta,con i grumi che rimanevano sul fondo ed un po’ di farina,si facevano gli gnocchi)e cannella
O come la trippa,utilizzata in tutto il Veneto sia dai contadini che dal ceto urbano,a Rovigo Padova e Venezia spesso accompagnata dal riso(“risi e tripe”),a Treviso ingentilita da chiodi di garofano,cannella,rosmarino,noce moscata o salvia
A Vicenza con i “bigoli all’erba maresina”(detta anche “erba Madonna”,erba spontanea della vallata del Chiampo dal gusto piccante ed amarognolo,che i fritolari utilizzavano per condire appunto” le fritole co’ la maresina “che distribuivano all’uscita della messa)o “bigoli co’ l’arna”(anatra)
Famosi a Vicenza anche i “gargati”,pasta fresca all’uovo(fatta al torchio con stampi di bronzo)che si suole condire solitamente con il “consiero”(pasta di salame e verdure)
Per non parlare del “Baccalà alla vicentina”(ogni casa o trattoria ha poi la sua ricetta)dove il baccalà,di primissima qualità,veniva battuto a lungo con un martello di legno,messo a bagno 36 ore,tagliato a pezzetti e cosparso di soffritto di burro,olio,acciuga e cipolla,per poi essere cotto a fuoco lento e condito con prezzemolo pepe e latte
Baccalà che,anche nelle campagne,era una risorsa insostituibile,ed averne in grandi riserve aiutava nei periodi di carestia
La variante veneziana del “baccalà alla vicentina”e’ quello “alla veneziana”o “alla capucina”con pinoli uvetta cannella e a volte anche con zenzero,vaniglia e un po’ di zucchero
Come poi non menzionare il “baccalà mantecato”(tipico delle osterie veneziane e trevigiane)dove l’ingrediente fondamentale,oltre al baccalà stesso,ovvio,è sempre stato l’olio d’oliva obbligatoriamente di primissima scelta
Anche a Belluno,nonostante la sua collocazione geografica(terra di montagna)non abbia permesso alle contaminazioni orientali di attecchire come altrove nel Veneto,si ritrovano elementi comuni alle città fin qui citate,sia nei metodi di cottura che nell’utilizzo delle risorse del territorio(in montagna grazie alla pastorizia anche un notevole utilizzo dei prodotti caseari,tra cui spicca il Piave,formaggio che prende il nome dal fiume che ha la sua sorgente nella zona di produzione dello stesso,il Comelico)
Come l’utilizzo del rafano nella salsa “peverada”(dove normalmente il pepe la fa’ da padrone),che a Belluno si accosta normalmente a bolliti misti di animali da cortile ma anche a della carne di selvaggina,molto utilizzata in montagna
Il rafano(cren)nelle zone montane e’ utilizzato nella salsa al posto del midollo,come si suole a Verona,o del fegato d’oca o di lepre a Treviso,o delle acciughe e zenzero a Venezia(dove solitamente accompagna del pollame,e per questo a volte vi si inseriscono nella preparazione anche dei fegatini di pollo)
Presente,ed importante,anche nel bellunese la cultura del riso,che spesso è “maridado”(abbinato)a legumi tra cui il fagiolo(con quello di Lamon si fa il “riso alla lamonese”),e che come in quasi tutto il Veneto assomiglia di più ad una minestra che ad un risotto(come fosse una nostalgia del brodoso,del lento una volta atto a saziare con poco e rinvigorire)
Come poi non citare i “casunzei”,ravioli di pasta all’uovo(un tempo li si faceva senza uova,bene preziosissimo che non si concepiva “sprecarlo” in un impasto,perché, come racconta Marco l’Oste,“i se j’era un ovo no’atri se magneva un ovo,e i se j ‘era do ova,no’ se magneva do’ ova”)che qui vengono fatti ripieni di barbabietole rosse(e a seconda delle ricette anche con l’aggiunta di  ricotta),semi di papavero e mele..stessi ingredienti,questi ultimi,presenti nelle lasagne da “fornel“assieme a fichi secchi ed uvetta
Avrei fatto volentieri a meno di citarvi tutte queste ricette
Giuro
Anche perché citando queste,ne ho tralasciate di molte altre e magari di più famose
Ma questo non mi interessa
Il mio intento non e’ quello di scrivere un ricettario sul Veneto
Ho voluto mettere per iscritto le abitudini,le usanze e le ricette (e gli elementi che le compongono) lette su libri e fattemi raccontare,che per me più di tutte mettono in risalto come,tutte le città del Veneto, pur avendo avuto un percorso storico-gastronomico differente,con più o meno contaminazioni dall’esterno, evolvendosi, siano arrivate ad ottenere una definitiva identità ed unità gastronomica regionale che le accomuna e le rende uniche.
Identità figlia dell’Oriente e della sua ricchezza
Identità figlia della cultura contadina e della sua povertà


Fonti  :  Marco l’Oste, ”Ricette di Osterie del Veneto”, la rivista “Papageno” e Anonimi Intervistati

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CARLO,L’UBRIACO E IL CASTEL




Grazie allo Chef riesco e mettermi in contatto con la “Latteria Perenzin”, per la precisione con Carlo Piccoli(marito della titolare,ed esperto produttore e conoscitore di formaggi)per avere un quadro generale sul mondo dei formaggi veneti ed in particolare,sul formaggio ubriaco di cui ho sentito tanto parlare da quando sono arrivato in questa regione,ma di cui so poco
Ricevuti i contatti ed essendomi fatto prestare il navigatore dallo Chef(no,non ce l’ho,e sono contrario ad averlo per una serie di motivi che non sto a spiegare,ma in quest’occasione ho accettato altrimenti c’avrei messo sicuramente mezza giornata per trovare la latteria)mi dirigo verso S.Pietro di Feletto,frazione di Conegliano(Tv)
Arrivato a destinazione vengo accolto nell’ufficio dell’azienda dalla titolare,che nell’attesa di poter visitare l’azienda e di poter parlare con Carlo(impegnato con dei clienti)mi racconta alcuni aneddoti sui formaggi ubriachi
Formaggi ubriachi che sono la specialità della provincia di Treviso(ed altre zone del Veneto)che durante il periodo della vendemmia vengono lavati e immersi per diversi giorni nelle vinacce fresche e nel mosto
L’origine di questo affinamento secondo quanto mi dice,risale al periodo del Medioevo,periodo delle mezzadrie(rapporti produttivi tra il contadino e il mezzadro feudatario)
Mezzadro che offriva lavoro e alloggio al contadino e alla sua famiglia non in cambio di un compenso economico bensì in cambio di una piccola parte dei prodotti che i campi dopo un determinato periodo rendevano(mezzadro letteralmente significa “colui che divide a metà”)
Ma quel che il proprietario terriero concedeva ai suoi braccianti era una parte piccolissima del raccolto,spesso non sufficiente per le loro famiglie,quindi nelle zone in cui si lavorava il latte ed i formaggi, nacque l’ubriacatura dei formaggi come stratagemma da parte dei contadini per nascondere parte dei formaggi che sarebbero dovuti spettare di diritto al mezzadro,durante il periodo di vendemmia,sotto le vinacce,e poterne avere di scorta per l’inverno
Stratagemma utilizzato anche durante la Prima ,e Seconda Guerra Mondiale,quando i soldati austriaci prima,e tedeschi poi,erano soliti fare razzia di tutto ciò che di commestibile c’era nelle case dei contadini(l’affinamento nel fieno nasce per lo stesso motivo)
Mi racconta poi di come il simbolo della loro azienda,un uomo sorridente,con il classico bigoncio(in Veneto “bigol”)contente latte sulle spalle,sia la riproduzione stilizzata di “Gigio” loro conferente latte di una ventina d’anni fa,immortalato da Carlo in una foto
Mentre mi illustra alcuni “depliants”riguardanti i progetti dell’azienda,fa’ il suo ingresso nell’ufficio Carlo finalmente a mia disposizione
Dopo brevi presentazioni mi guida all’interno della sua azienda in cui mi mostra tutti i suoi locali,da quello in cui avviene la raccolta del latte a quello in cui si affina il formaggio
Mi spiega di come la sua passione per il formaggio lo abbia portato a re-integrare in Veneto il formaggio di capra(dieci anni fa),e di come stia cercando di valorizzarlo(l’utilizzo del latte caprino nei formaggi era stato abbandonato da secoli e non dava vita a formaggi caprini in purezza bensì a dei caciottoni ”misto capra” contenenti anche latte vaccino)con delle “robioline”(a coagulazione lattica,o acida,in cui sfrutta l’acidità del latte stesso per far si che le caseine precipitino creando la cagliata) degli “ubriachi al traminer” delle caciotte “al fieno”,“in foglia di noce” al “pepe ed olio extravergine d’oliva” o anche delle ricotte di caprino al naturale
Mi racconta della sua ricerca continua di poter accedere al latte di alpeggi per valorizzare i suoi formaggi e non solo(crede in un progetto atto a risollevare la qualità dei formaggi veneti),di come abbia instaurato ottimi rapporti con alcuni casari di malghe,e di come invece con molti di questi non sia riuscito a legare per colpa della loro ignoranza(intesa come incapacità di capire che il latte con cui producono formaggi dal gusto monotematico andrebbe valorizzato e trattato diversamente)e testardaggine a voler vendere formaggi di basso spessore ai turisti senza sfruttare al meglio il potenziale del prodotto primo da cui proviene,appunto il latte
Mi spiega il funzionamento della salagione nelle vasche delle forme di formaggio
Delle attenzioni che abbisogna un formaggio  e del lavoro che c’è dietro,come il ruotare le forme galleggianti nella salamoia,e quelle in fase di stagionatura,quotidianamente
Di come avvenga ogni due mesi la pulizia delle saline(vasconi contenenti la salamoia ed i formaggi in fase di salatura sul cui fondo dopo tempo comincia a formarsi una patina di calcio e proteine che và eliminata )secondo la tecnica della rotazione delle vasche(una vuota in cui si comincia a travasare a catena)e di come non sia necessaria nel caso si riesca a mantenere costante il livello di acidità al suo interno(consiglia intorno ai 18gradi)
Acidità che funge da conservante
Della grandezza della cagliata,della ricerca specifica di questa,in base al prodotto che si vuole ottenere e di come in base alla grandezza venga chiamata dagli addetti ai lavori(a chicco di riso,albicocca,etc etc)
Della stagionatura e dell’affinamento a cui si prestano i “suoi” formaggi ubriachi
Entrati nella stanza mi trovo di fronte a scaffali pieni di “Montasio” e “San Pietro” in fase di stagionatura,e su molti di questi c’è affissa un’etichetta con su scritto”da ubriacare a settembre”
Qui mi racconta delle origini dell’ubriacatura di come sulle forme appena arrivate in questa stanza faccia mettere dell’olio di lino sullo scalzo per non farlo seccare vista l’aria a cui è esposto
Di come vadano ruotate le forme
Mi dice che le forme che la tradizione vuole si prestino all’ubriacatura siano di latte vaccino,e corrispondano precisamente a quelle del Montasio e dell’Asiago(pressato e d’allevo),tutti e due a pasta cotta,con una stagionatura minima di due mesi(quindi a pasta semidura) e che la qualità delle forme da ubriacare,deve essere ineccepibile
Mi racconta di come le vinacce usate debbano essere appena sgrondate(naturalmente e non sotto torchio)e quelle di quali vitigni normalmente utilizzi(Cabernet,Merlot su tutte solo per questioni di richiesta di mercato,e non perchè dalle vinacce del Raboso non si possa fare un ubriaco,anzi,mi confida di come venga particolarmente saporito e con uno spettro di aromi interessantissimo)
Dei quindici giorni(a volte un mese,dipende dalla stagionatura della forma)in cui il formaggio deve essere immerso nelle vasche piene di vinacce e mosto prima della asciugatura e pulitura
Mi parla dei suoi esperimenti inerenti l’ubriacatura del formaggio che hanno portato al “Millefoglie al Marzemino”(di Refrontolo passito),formaggio di sua invenzione
Di come sia riuscito a creare l’effetto “sfoglia” che ha permesso al vino poi di “marmorizzare” l’interno della pasta
E questo grazie sia all’immersione della forma(ottenuta da latte quasi crudo, con dei fermenti lattici che acidificano violentemente)precedentemente forata,nel vino Marzemino,sia lo spostamento quotidiano subito da questa,da ambiente caldo a freddo ,e viceversa,così da creare all’interno la sfogliatura della pasta
Dopo avermi parlato dell’Ubriaco e dei suoi formaggi vaccini e caprini,mi propone una degustazione di tutti i formaggi più interessanti di sua produzione.
Non riuscendo a desistere accetto
Una volta a tavola,assaggio quindi la “Robiola” caprina,il “Feletto”(colline locali)a latte crudo,dai toni leggermente piccanti,il“Capra in foglia di Noce”,la “ricottina di capra”,il sovra citato “Millefoglie al Marzemino,l’”Ubriaco al Cabernet”e l’”Ubriaco al Traminer”il “San Pietro in cera d’api”ed il “Castellino”
Nonostante il fascino del formaggio “ubriaco”abbia catturato la totalità della mia attenzione inerente l’analisi del formaggio veneto sia per caratteristiche che per storia e mito che lo accompagnano,mi sembra doveroso spendere due righe sul “Castel” di Carlo,formaggio vaccino dalla grandissima personalità
Sicuramente non sarà “tipico” del Veneto
Non avrà una storia secolare alle spalle
Ma è fatto con criterio
Ha un sapore tutto suo
Sembra un caprino ma e’ un vaccino
Varia in bocca
Si evolve
Fatto con orgoglio da un veneto nel Veneto
Ed un giorno chissà sarà annoverato assieme al Montasio e l’Asiago come uno dei formaggi veneti più caratteristici
Il nome “Castel” non c’entra nulla con il “Castelmagno”piemontese,anche se il nome induce a pensare possa essere una copia o ispirato al formaggio originario di Cuneo..formaggio che si rifà secondo il Piccoli ad un ipotetico formaggio del periodo medievale,ed il nome viene dal fatto che castello spesso e’ associato alla parola medioevale,da qui “Castel”..da qui l’idea di fare questo formaggio a latte crudo(lasciato una notte all’aria)dalla forma cilindrica,ma imperfetta,con lo scalzo che dà l’impressione di cedere da un momento all’altro
Il “Castel”(pesa 2,5kg,ma esiste anche il “Castellina”di o,9kg ed il “Castellino”di 0,4 kg)ha la caratteristica di maturare dall’esterno verso l’interno
Fresco e’ “gessato” nella totalità
Man mano che matura invece diviene sempre più morbido,e il tutto dall’esterno all’interno,mantenendo la“gessosità” solamente al cuore
Forza Carlo
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LA SOPPRESSA DI IVO DI POSSAGNO





INTERNET
Questo particolare salume, il cui nome deriva dal provenzale saupres-sado che significa salato e pressato, viene prodotto in tutto il Veneto, in differenti versioni che più o meno si rassomigliano. La soppressa trevigiana si ottiene con tutte le carni del suino, dal prosciutto al capocollo e dalla spalla al sottogola, snervate e macinate a grana media. L’impasto della soppressa trevigiana viene poi conciato con sale, pepe e vino Prosecco tiepido per aumentare la scorrevolezza della carne e successivamente insaccato in un budello gentile bovino. La soppressa così ottenuta viene immersa in un catino colmo di acqua tiepida e massaggiata sino ad ottenere un aspetto uniforme e compatto. Terminata quest’operazione, è legata con lo spago e messa ad asciugare per alcuni giorni in un luogo dapprima caldo umido e via via più asciutto, prima di passare alla stagionatura finale che va da un minimo di 5 mesi sino ad arrivare a un massimo di 2 anni”


GABRIELE

Altro lunedì(giorno libero) altra avventura
Riesco finalmente a fissare un appuntamento con Ivo Montini,anziano macellaio di Possagno(“poss-agno” significa pozza d’agnello e deriva dal fatto che in quella zona un tempo erano soliti brucare agnelli)nonché produttore artigiano di soppressa
Armato di tanta buona volontà e senso dell’orientamento mi metto in viaggio
Durante il tragitto non posso non ammirare la bellezza di ciò che mi circonda(ammiro così tanto da sbagliare per ben due volte direzione)
Zone in cui già sono passato,ma rispetto all’ultima volta,sono diverse esteticamente
Un mese fa era tutto più verde
Il colore predominante ora è il rosso ed il giallo delle foglie autunnali
Sembra il paesaggio del primo episodio di “Dolls”,film di Takeshi Kitano
Scatto qualche foto
E mentre fumo una sigaretta contemplo il paesaggio estasiato
Torno in macchina
Il freddo comincia a farsi pungente
Riprendo il viaggio col pensiero rivolto a Marco l’Oste(mi ha indicato lui questo “guru”della soppressa) e a tutte le persone le persone che mi hanno aiutato e mi stanno aiutando in questa ricerca
Ricerca di prodotti
Ricerca i storie da ascoltare e riportare
Ricerca di me stesso e di quello che sto diventando
Persona sempre più curiosa e bramosa di sapere
Non che prima non lo fossi
Ma ora più che mai sento la necessità,quasi vitale di sapere
Ogni tanto penso ai miei compagni di corso
Penso a come saranno tra un anno,finito il loro percorso di formazione
Penso a dove andranno
Alla loro evoluzione o involuzione futura
No non penso a come sarò io
Per il semplice fatto che non arriverei ad avere una risposta al riguardo neanche tra cinque anni
Quindi tempo perso
Tempo che preferisco impiegare ascoltando e rubando con gli occhi
Ritorno in me e mi ritrovo proprio di fronte alla macelleria di Ivo
L’insegna che mi dice che oltre la porta ci sia la bottega di Ivo è incredibile
È un pezzo di roccia nudo e crudo
E “Macelleria” è scolpito su di essa
Sottilissimo quasi illeggibile
Bene ormai ci siamo
Speriamo non abbia tanti clienti
Mi guardo intorno
Non un’anima
In fondo ci speravo
Butto un occhio dentro e lo vedo intento a macinare quello che sembra manzo
Non si accorge di me quindi entro
“Buongiorno”
Appena varcata la soglia mi accoglie con un sorriso
Quindi mi identifico e comincio a spiegargli il motivo della mia visita
Ma mentre parlo comincio a temere che non sarà facile poter sapere di lui e della sua soppressa
Non è colpa della sua persona
Il suo sorriso mi ha conquistato subito
Non vedo in lui ostilità
Piuttosto è l’imbarazzo che noto in lui
Imbarazzo di chi magari non ha mai spiegato ad un giovane forestiero,della sua soppressa ,e che teme di non riuscire ad essere d’aiuto
La leggo così
Come umiltà e timidezza
Mi piace
Timidezza che in un battibaleno lascia il passo ad una “verve” inaspettata
Un’euforia che porta Ivo subito ad offrirmi qualche fetta della sua soppressa
Otto per l’esattezza,e non sono poche alle dieci e mezza del mattino visto lo spessore che hanno(si,la soppressa si taglia tradizionalmente a mano,dello spessore di mezzo dito,con coltello a lama affilatissima e questo per non rischiare di rompere la fetta molto morbida al cuore)
Comincia a parlarmi di lui e delle caratteristiche del suo prodotto
Mentre mastico lentamente ogni fetta(va bene non tutte,la prima l’ho ingoiata senza neanche masticare,stile “anatra”e non me ne vergogno..avevo fame)entro nel suo mondo
O meglio,ci provo
Difficile da rendere a parole ma la sensazione che provo degustando la sua soppressa,e’ quella di incredibile equilibrio tra tutte le componenti,e paradossalmente di leggerezza
Mi racconta di come faccia salami(crudi)e soppresse
Di come tutti i passaggi di produzione,vengano diretti solo dalle sue mani
Mi dice che le soppresse lui le fa nel periodo che và da Novembre a Pasqua e mi informa di come la stagionatura la faccia di minimo sei mesi
Di come utilizzi solo maiali  dal mezzo quintale in su e di come li faccia allevare allo stato “semibrado” integrando l’alimentazione con soia crusca mais ed un po’ di siero
Mi racconta di come lui da Novembre a Pasqua ne ammazzi tre a settimana ogni lunedì,di come li lasci appesi fino al martedì sera,e di come al mercoledì sezioni l’animale e separi la parte grassa da quella magra
Mi confida di come alcuni macellai e produttori al di là del Piave mischino la carne di maiale con quella del manzo,e di come lui invece utilizzi solo maiale e nella sua totalità(solo il muso le orecchie ed il codino non entrando nella preparazione)
Di come aggiunga poi il lardo dell’animale(la parte più esterna e non quella più molle perché mi dice più soggetta ad irrancidimento durante stagionatura)alla parte magra solo al giovedì,ed in dosi da lui calibrate(questo non prima d’aver unito alla parte magra sale,pepe,salnitro e del vino Cabernet,ed averla fatta marinare per dodici ore)di come venga il tutto messo nel budello(detto “manica grossa”)e di dove vengano appese a stagionare le soppresse ultimate(nella sua casa,microclima a suo dire,da far invidia a Spigaroli )
Mi dice poi come l’aglio sia assente nella sua soppressa ma non lo sia nelle salsicce “crude”
Salsicce che dice essere il “top” tagliate a fette spesse,”strinate” velocemente in padella,sfumate con del buon aceto di vino e servite su della polenta bollente
Gli credo e spero di poterne provare il sapore un giorno
Dalle soppresse si finisce a parlare di politica,e a quel punto,approfittando di una sua pausa “ossigeno”(ha parlato senza quasi respirare per tutto il tempo)gli faccio notare come due donnine anziane siano entrate da mezz’ora e di come sia magari il caso di servirle
Con l’aumentare del numero dei clienti nella bottega,decido di defilarmi,non prima d’aver ringraziato Ivo di cuore per il tempo e le attenzioni dedicatemi
Che grinta alla sua età(non l’ho chiesta ma sicuramente superiore a quella celebrale)penso,già proiettato al prossimo incontro

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BURANO   E  MAZZORBO  CON  I  “SERRAIANTI”





Elettrico
Stanco ma elettrico
Oggi forse vedrò cose che in pochi han visto e vedranno
I pescatori di Moeche e Masanete all’opera
Col termine di moleche(o moeche in dialetto)si indicano nella laguna veneta i granchi di sesso maschile(si riconoscono dall’addome a forma triangolare)in fase di muta,ossia che nei mesi che vanno da marzo(a volte anche inizio febbraio)a maggio,e da settembre a dicembre(quest’anno causa temperature insolite per settembre stanno mutando con un mese di ritardo),perdono il carapace e si presentano teneri e molli, da qui il nome
La molecha(il granchio maschio)si mangia viva oppure leggermente infarinata e fritta. La procedura tradizionale le vuole messe vive nell'uovo sbattuto e salato, fino a che queste deglutiscano in parte il composto. Vengono poi passate nella farina bianca e fritte possibilmente in olio d'oliva
La masaneta(o come dicono qui “mazeneta” ) è invece la femmina(si riconosce dall’addome a forma di cuore)provvista di guscio e viene consumata soprattutto alla fine dell’estate, quando piena di uova prende anche il nome di “mazeneta col coral”
Le mazenete sono preparate lesse e condite con aglio, olio e prezzemolo
Il punto in cui mi incontrerò con Damiano sarà Treporti,che mi dicono essere l’ultimo lembo di terraferma prima della laguna e Venezia,da dove nelle giornate terse si può vedere anche il campanile di S.Marco
Damiano è un ragazzo che ha smesso di dedicarsi da poco alla pesca delle moeche,preferendo entrare in una piccola cooperativa di pescatori di vongole,specializzazione sicuramente meno affascinante ma di certo più redditizia e meno logorante
Non è stato il mio primo contatto
Ho provato per mesi a contattare pescatori,fornitori,e  qualsiasi persona potesse avere a che fare con questo crostaceo,senza riuscirci
A volte gentilmente,a volte meno,i miei contatti m’hanno comunque sempre spiegato che l’impossibilità di dedicarmi del tempo era dovuta agli impegni molteplici
La mia versione dei fatti,leggendo tra righe,è un’altra 
Anche se non me l’han mai detto,per molti di loro ero uno scocciatore,minante la loro serenità ed il loro riposo
Ma per questo non li posso biasimare
Fatto sta che quando tutto sembrava perduto mi è piovuto dal cielo il numero di Rebecca la responsabile del presidio Slowfood  per le Moleche(grazie folletto)
Grazie alla sua disponibilità e gentilezza riesco a mettermi in contatto con Damiano l’esperto pescatore che andrò ad incontrare a breve
Felpa e giacca ci sono
Macchina fotografica e mente lucida anche
Ok ci siamo
Non resta che aspettarlo
Arrivato con mezz’ora d’anticipo mi guardo dei pescatori scaricare cassette piene zeppe di vongole,che mi dicono chiamarsi “pevarasse”
Sono molto diffidenti e le occhiate che mi lanciano non sono delle più rassicuranti
Ad un certo punto un barchino mi si fa vicino e capisco che chi lo manovra è Damiano
Ci presentiamo
Sorridente e socievole
Non potevo chiedere di meglio
Anzi pensandoci bene un interprete mi avrebbe fatto comodo
Sarà per la prossima volta
Il sole comincia ad alzarsi ma con lui anche una leggera foschia
Mi spiega che è normale
Mi racconta di lui e del suo passato da “serraiante”
Mi dice che il nome deriva dal termine “serraie”sorta di pali piantati sul fondo sabbioso della laguna su cui vengono applicate delle reti creanti un percorso che conduce granchi e pesci verso un punto cieco detto “cogolo”
Principio questo simile a quello delle tonnare il cui percorso fatto di reti aperte sopra e sotto,si conclude con la camera della morte
Mi racconta di come non ci siano più “serraianti”al giorno d’oggi
Lavoro quello del “serraiante” sfiancante che lo tiene impegnato sette giorni su sette per tutta la durata del cambio muta dei granchi che può variare a seconda della temperatura
I periodi in cui i granchi cambiano la muta sono due..
Quello che và dagli inizi di Febbraio fino a Pasqua(e a volte oltre)è detto Quaresima
Quello che inizia ad Ottobre fino ai primi freddi è detto Fraima
In ambedue i periodi ci sono poi le prime due settimane il cui il cambio della muta del crostaceo è scostante e sporadico ed in cui si riescono a fare al massimo tre chili di moleche al giorno,mentre nelle restanti settimane,durante quella che loro chiamano “la volata”,le moleche perdono il carapace in massa e se ne possono fare anche ottanta,novanta kili giornalieri
Un po’ come quando si fa il popcorn
All’inizio uno scoppiettio bianco qua e la
Poi il crescere maestoso di un cuscino candido
Mi racconta di come i”serraianti”abbiano delle zone assegnate ben precise(le zone vengono estratte a sorte all’inizio della “Fraima”e della “Quaresima”,poi volendo possono cambiarsele i pescatori tra di loro secondo le esigenze)in cui piazzare le loro “serraie”
Zone oggi molto più vaste di quelle di un tempo(anche in proporzione,vista la minore partecipazione)ma con sempre minor pescato all’attivo
Mi informa di come la quantità di pesce presente in laguna sia drasticamente diminuita negli anni per colpa dell’inquinamento dovuto agli scarichi delle fabbriche e la conseguente moria lenta ed inesorabile delle alghe che offrivano un tempo cibo e rifugio alla fauna marina lagunare e a quella di passaggio(un tempo il Pesce sostava anche per mesi nella laguna viste le condizioni favorevoli,mentre ora preferisce passare oltre)
Mi porta su alcune serraie(vicino Burano)che però non si azzarda ad alzare,per farmi vedere se piene di pesce o meno,per rispetto ma anche timore del legittimo proprietario
Un tempo “se copavano”(picchiavano) per molto meno
Mi racconta di come,chi sia inesperto della laguna e delle sue acque,nelle giornate di nebbia si possa perdere facilmente e ritrovare la via solo al diradarsi di questa(anche dopo giorni è capitato,mi dice)
Intanto si dirige verso Mazzorbo dove mi dice esserci Angelo suo amico,un vecchio “serraiante”,che probabilmente sta ancora tirando su le reti(i serraianti iniziano a tirar su le reti dalle due del mattino fino all’orario di consegna del loro pescato alla cooperativa S. Marco pescatori,per poi tornare a prendere la seconda”mandata” e staccare alle quattro del pomeriggio)
L’acqua che ci scorta fino ad Angelo è di un denso oleoso
È placida e silenziosa
Quasi nquietante
In lontananza si vede del movimento
È Angelo
Damiano accosta la sua imbarcazione a quella del vecchio amico 
Si salutano
Parlottano in dialetto e capisco dopo poco di essere stato accettato da Angelo
Mi sorride
Avrà al massimo una decina di denti e la faccia scolpita dal tempo e dal sole
Occhi come fessure
Capelli canuti e lunghi
Damiano mi farà da interprete
Andiamo bene
Capisco a fatica ma capisco
Afferro che un tempo,quando non c’erano i motori il tutto era più complicato
Si andava a i remi e con la forza delle braccia(coloro i quali partecipavano alla regata storica,che si tiene tutt’ora nella prima settimana di settembre,erano i più avvantaggiati)
Le distanze,le diverse operatività a cui un “serraiante” si doveva prestare non permettevano di tornare a casa quasi mai
Si tornava a casa solo per procreare
Per il resto si viveva in barca,mentre per rifocillarsi e dormire(anche durante la breve pausa che intercorreva tra una battuta di pesca e l’altra),si stava in accampamenti di fortuna allestiti dagli stessi pescatori tra insenature degli isolotti lagunari del Torcello Burano e Mazzorbo
Angelo è di poche parole
Non siamo di disturbo ma di certo non ci dedica più tanto tempo vista la delicatezza e l’attenzione che abbisognano alcune operatività tipiche di questa pesca
Deve tirare sulla barca i granchi ed il contenuto delle reti(tra cui anche passere di mare e pesci di piccola taglia),rovesciarli su di una sorta di scivolo detto “gorna”
Di lì ributtare in mare i pesci di piccola taglia che non gli interessano 
Spanciare i granchi(girarli sull’addome per vederne il sesso e sentire se il granchio sia pronto per la muta)e dividere “boni”(che diventeranno moleche)da quelli “matti”(che non muteranno più o che hanno già mutato)come prima cosa
Quelli matti non gli interessano
Quindi via di nuovo in mare
Damiano mi dice che la sacca che Angelo sta facendo a parte è destinata alle masanete,che pur non avendono un buon mercato come le moleche,sono buonissime,anche senza il prezioso carico di uova
Poi mi fa notare come Angelo debba spostarsi ed andare verso la “serraia”successiva quindi salutiamo e togliamo il disturbo
Quando facciamo per andarcene Angelo ci mostra un branzino di sei chili,capitato nella sua “serraia”poche ora prima,fino ad allora custodito gelosamente in mezzo alle gambe
Bellissimo
Salutiamo e ci spostiamo verso Mazzorbo
Durante il tragitto mi dice di quando era piccolo e di come fosse affascinante ascoltare i racconti dei vecchi pescatori
Delle leggende su alcuni di questi
Mi dice di come lui,con dei suoi amici pescatori,partecipi ancora alla regata storica e del settimo piazzamento avuto quest’anno(complice il poco allenamento e l’ausilio del motore sulle barche,che magari invece il primo classificato ancora ignora)
Ad un certo punto comincia a rallentare
Punta la prua verso un’insenatura,un canale naturale
Entrati in quest’insenatura davanti a me vedo il moltiplicarsi di altri piccoli corsi d’acqua,sullo stile di un paesaggio pluviale(mi ricorda Bangkok)
Percorriamo lentissimamente il “canale” principale
Sembra d’essere in un luogo senza tempo
A destra e sinistra,su quel poco che c’è di terra,ci sono serraianti e le loro casette di pesca(quelle in cui si rifocillano,dormono,puliscono le reti etc etc)fatte in lamiera e canne
Decine di gatti,che oltre a tenere compagnia,Damiano mi dice indispensabili per contrastare le pantegane(grossi topi spavaldi)
Reti appese ad asciugare al sole
Noto poi centinaia di pali piantati in acqua con su delle corde che tengono ferme delle grandi casse immerse in acqua
Gli chiedo cosa siano
Mi risponde che quelle casse sono dette “vieri” e sono le gabbie lignee in cui il serraiante mette i granchi pescati nella laguna
Solamente i granchi “boni” gli “spiantani” finiscono nei “vieri”
I “boni”sono i granchi che nel giro di massimo dieci giorni diventeranno “spiantani”
Gli “spiantani” sono quelli che sono pronti a diventare moleche e per compiere il passaggio ci impiegano un giorno
Dopodiché ritornano ad essere di natura rigida
Per questo mi spiega come ci siano “vieri” appositi per “boni” e “vieri” per soli “spiantani”
L’abilita’ del serraiante sta appunto nel  non permettere allo “spiantano” ,che ha appena perso il carapace ,quindi nello stato di moleca,di irrigidirsi nuovamente riformando l’esoscheletro(mastruzo),e ciò è possibile farlo solo tirandolo fuori dall’acqua(nel caso non riesca a farlo in tempo c’è anche il rischio che il granchio con il “nuovo”esoscheletro attacchi quelli in fase di muta)
Operazione di controllo che deve essere fatta giornalmente(spesso due volte al giorno)per gli “spiantani” mentre ogni tre giorni per i “boni”
Mi spiega l’importanza delle maree e della temperatura dell’acqua(uno spiantano puo’ tornare bono e non più moleca,nel caso in cui ci dovesse essere un abbassamento drastico della temperatura)per il loro lavoro
Ci avviciniamo a due pescatori intenti a separare i granchi sulla “gorna”
Ci sorridono
Dopo la breve introduzione di Damiano riguardo la mia presenza nel “loro” territorio mi spiegano nel dettaglio le loro operatività e mi fanno vedere(e toccare)tutti i diversi tipi di granchio fin’ora citati(i loro differenti colori,le consistenze,la loro anatomia)
Mi fanno salire sulla loro “terra ferma”
Lì mi mostrano i “vieri” antichi(fatti solamente in legno)e quelli moderni(sempre in legno ma con tutt’intorno una rete a maglie fitte)
Il cambiamento nel corso degli anni della forma del “viero”,è dovuta al fatto che il granchio deve essere nella migliore condizione possibile per rilassarsi e cambiare muta(assurdo tenerli in mano,e sentirli addormentati,come in trance)
Per raggiungerla però mi spiegano che deve sentirsi come fosse nel suo habitat 
E la soluzione l’han trovata facendo una cassa con tavole di legno sopra e sotto,mentre tutt’intorno una rete(anziché tavole ingombranti)
Rete che non fa uscire i granchi e permette un maggior riciclo d’acqua(e questo significa più cibo e maggiore ossigenazione per il granchio)nel “viero”
Un amico di Damiano intento fino a quel momento a pulire le reti con un potentissimo getto d’acqua ci si fa incontro con del vino
“Stranamente” ancora prosecco
Incredibile come questo vino mi abbia accompagnato in ogni uscita pubblica
Beviamo e chiacchieriamo del più e del meno
Loro del più io del meno
Mentre discutono e ridono io mi guardo intorno
Vedo sacchi di patate(presumo siano quelli in cui trasportano i granchi)stesi al sole
Gatti sornioni,noncuranti del pesce e dei granchi che li circondano,perché ormai satolli
Cormorani che di tanto in tanto planano sfiorando il pelo dell’acqua
Ma la cosa che più mi colpisce è l’odore penetrante che pervade la zona
Un odore nuovo
Che è una miscela di tutti gli odori degli elementi che mi circondano
Pesci
Granchi vivi
Granchi morti
Nafta
Sterpaglia asciutta e umida
Alghe e sabbia sul bordo dei pontili
Il tutto per niente sgradevole nel complesso
Forte
Ma non sgradevole
Mi lascio rapire da tutto ciò 
Solo allora capisco quanto vera sia l’affermazione fattami in un frangente da Angelo il vecchio pescatore
“Fa el serrajant’ e non gh’e ha presso”
Tutto vero
La natura sempre a contatto,nel bene(sole)e nel male(nebbia e freddo),orari sfiancanti,sforzi costanti per procurare quotidianamente al mercato un prodotto imprescindibile per molti
Prodotto a cui si dedica la quasi totalità della vita,ed il tutto ripagato solo con l’orgoglio di fare un lavoro unico al mondo
Davvero non ha prezzo

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LE SARDE IN SAOR


Il saor era il metodo di conservazione usato per i pesci che si usavano in abbondanza in determinati periodi come i cefali,le passere e le sarde,le più usate,senza soluzione di continuità,da secoli
Giuseppe Boerio nel suo “Il dizionario del dialetto veneziano” definisce il saor una “salsa fatta con aceto ed altri ingredienti sul pesce cotto,arrostito o fritto”
Il saor semplice consiste nel friggere il pesce lasciandolo morbido e nel coprirlo con una marinata di pepe,cannella,aceto,cipolla,aglio,olio,prezzemolo,e un cucchiaino di zucchero
Quello con l’uso di uvetta,pinoli,e pezzetti di cedro candito era invece più una consuetudine urbana legata a feste,sagre e soprattutto alla festa del Redentore(festa in cui si celebra il Cristo Redentore a cui e’ stato fatto erigere dal senato della Repubblica della Serenissima,appositamente nell’isola della Giudecca,un tempio,come voto affinché liberasse Venezia dalla piaga della peste che l’aveva colpita,datata 1577)
Il saor e’ tutt’ora usatissimo nella cucina ebraica e risulta essere il piatto ideale per il sabato visto che è abitudine degli ebrei friggere il pesce di venerdì sera e coprirlo con dell’aceto fino al giorno seguente(alcune persone di Venezia mi han detto che il massimo è mangiarle dopo tre giorni,e non dopo 24 ore,)
Da tener presente come in saor si possano conservare anche verdure e carni,e come annotato sul libro “Ricette di Osterie del Veneto”,un tempo nelle campagne,si usasse conservare i polli cuocendoli con aglio,olio,cipolla,aceto e ,una volta pronti,coprirli con un grande quantitativo di cipolla affettata finemente(potevano conservarsi per più di una settimana
Perché le “sarde in saor”?
Ho deciso di voler rifare le “sarde in saor il giorno in cui sono stato ospite di Loris Follador
Lì degustando il suo prosecco,ed esponendo le mie problematiche riguardo la necessità di dover trovare un piatto della cucina veneta da portare in prova d’esame,si è cominciato a parlare di alcuni piatti della tradizione..
Tra tutti,quello che mi ha catturato nello stesso istante in cui è stato menzionato,è stato proprio quello delle “sarde in saor”
Non saprei dirvi perché
O meglio
Perché solo in quel momento e non in precedenza
Forse la folgorazione mi è venuta perché nell’istante in cui il Piatto è stato nominato,il prosecco che stavo mandando lentamente giù è come se m’avesse detto
“Cretino che fai non ci arrivi..?”
“Mi sa’ che stiamo bene insieme”
E in effetti provando ad immaginarmi una porzione di “sarde in saor” di fronte a me prima e nella mia bocca poi..
Sembrava davvero fossero complementari
Ecco così è nata l’idea
Ho provato a seguire un binario immaginario di acidità e dolcezza in precario equilibrio che poteva accomunarli e sono arrivato ad un accostamento secondo me consono
La formula giusta non la so
Non ancora
E forse non arriverò ad averla neanche “Il Giorno”
Ma sinceramente non mi interessa
E questo perché già l’aver fatto tutto quel che sto’ facendo(leggere sui ricettari,parlare con più o meno esperti,girare)mi sta aiutando ad avere un metodo che sinceramente non invidio a nessuno
Dicevo
In mente ed in bocca come sono fatte le “le sarde in saor” fatte “a mestiere”ce le ho
Questo grazie anche allo Chef che mi ha guidato in una”sarde in saor”vecchia maniera(con tanto di tre giorni di riposo come da tradizione)da urlo
Davvero pura libidine(ottime Alessa’,davvero,complimenti alla nonna)
Ora il rendere lo stesso gradevole “morbin” che caratterizza questo piatto sarà tutt’altra cosa
Cercherò di rendere “espresso” il gusto di un piatto che storicamente abbisogna di riposo perché ci sia la perfetta amalgama di tutti gli elementi che lo compongono
Il mio intento qui però non è quello di sfidare la storia e la tradizione
Piuttosto quello di rendergli omaggio
E sarà un rendere omaggio ad un concetto piuttosto che ad un piatto
Vorrei poter dimostrare di aver capito qualcosa della regione che mi ha ospitato
E non il saper fare alla perfezione qualcosa che forse neanche proverò più di tanto
Non mi resta che dire..
Buon appetito









                                                                              
                                              


                                                                  RINGRAZIAMENTI




In quest’ultima pagina a mia disposizione volevo ringraziare tutti coloro i quali che,anche inconsciamente,mi hanno ispirato e motivato durante questi mesi,e che così facendo han reso possibile la realizzazione di questo libro
Speciali ringraziamenti quindi vanno a

Laura
Andrea
Matteo
Elisa
Tigre
Marco
I Miei
Giulio
Luciano
Pierluigi
Ale
Silvia
Silvio
Adriano
Damiano
Rebecca
Alessandro
Paolo
E io


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